Bilancio provinciale, tutti i numeri della sanità trentina – intervento integrale

Riporto il mio intervento in discussione generale sul bilancio provinciale in versione pressochè integrale:

Il Presidente ha giustamente scritto nella sua relazione, che riguardo a quello a cui stiamo assistendo in queste settimane nel comparto sanitario “le preoccupazioni sono legittime”, “ed è anche doveroso quando ci sono in gioco servizi fondamentali”. Giustamente, richiama anche al fatto che noi amministratori abbiamo più di altri il compito di essere obiettivi e basarci sui dati di fatto. Ecco, che quindi cercherò, nel mio piccolo, di evidenziare alcuni aspetti della sanità trentina, portando dati obiettivi, perlomeno quelli che io ritengo giustifichino l’allarme che stanno vivendo sia il territorio sia il personale che sta prestando la sua opera nel comparto della sanità. Noi sappiamo che il bilancio è corposo, nonostante i tagli abbiamo comunque a disposizione 4,3 miliardi. La Corte dei Conti ci fa sapere che nel 2014, quando avevamo a disposizione più risorse, il 25,36% del bilancio era assorbito dal comparto sanità, rispetto al 2013 quando assorbiva il 26,31%.

Una cosa molto interessante che emerge è che il costo pro capite è uno dei più alti, ovvero € 2.243. Addirittura si evidenzia che abbiamo un aumento del 4,65% nell’ultimo quinquennio, ovvero abbiamo avuto una spesa pro capite in crescita, mentre a livello nazionale abbiamo una spesa pro capite di € 1.829. È inferiore solamente alla vicina azienda sanitaria di Bolzano, che pare, rispetto a Trento, abbia una spesa ancora più alta. Una cosa importante: quando noi ci vantiamo, come ha fatto anche il Presidente, riportando dei dati che attingono da diverse fonti internazionali e nazionali, di essere fra i migliori, è anche giustificato dal fatto che fino adesso abbiamo potuto disporre di un’abbondanza di risorse impiegate nel comparto della sanità. Ci mancherebbe anche che, nonostante l’impiego di così tante risorse, avessimo una sanità non ai vertici.

Una cosa interessante che emerge, dall’analisi della Corte dei Conti, è il costo dell’assistenza specialistica, cioè quella destinata alle terapie particolarmente specialistiche: se osserviamo il territorio, sempre più ascoltiamo cittadini che ci dicono che il livello, non tanto delle prestazioni, ma della tempistica per accedere agli interventi specialistici, prevede tempi sempre più biblici. La Corte dei Conti ci evidenzia che noi abbiamo un’assistenza specialistica che è cresciuta del 6,9%. Andando però a guardare la causa di tale aumento, scopriamo che in realtà questo aumento è determinato proprio dall’attività o, meglio, dai costi che presenta il centro di protonterapia. Sappiamo essere un centro di altissima specializzazione, oggi lo possiamo considerare un fiore all’occhiello, peccato che, nonostante questo, non si sono fatte probabilmente le dovute valutazioni a suo tempo: ci è costato moltissimo nel costruirlo e ci costa 18 milioni, se non di più, nel mantenerlo ogni anno.

Ricordo che sui giornali, appena insediato l’assessore Zeni, aveva detto che attualmente in trattamento abbiamo circa 50 pazienti, quando per giustificare la spesa o, meglio, per fare in modo che la spesa rientri, dovremmo avere in trattamento 700 pazienti. L’assessore Zeni ci aveva assicurato appena insediato – riporto i dati di una sua intervista – che non era ancora inserita nei LEA ma che nelle successive settimane lo sarebbe stata, per una serie di tipologie di tumori, soprattutto le patologie tumorali che interessano i bambini. Io vorrei sapere, spero che durante il dibattito qualcuno sia in grado di dircelo, se nel frattempo questa tipologia di trattamento è ora stata inserita nei LEA, nei livelli essenziali di assistenza.

Un’altra cosa importante è che abbiamo una spesa, anche questa evidenziata dalla Corte dei Conti, dovuta a prestazioni per pazienti che si rivolgono fuori provincia. Questo fa riflettere. Noi abbiamo una sanità al top, però abbiamo tanti pazienti che vanno fuori provincia per fare indagini, terapie e interventi. È vero, ci sono alcune tipologie di prestazioni che la Provincia di Trento non è in grado di garantire, perché non è dotata di strutture in grado di farlo, però non si giustifica il fatto che noi abbiamo un saldo negativo, ricordato dalla Corte dei Conti, di 19 milioni di euro per prestazioni che vengono garantite fuori provincia.

Tra le criticità che io ho avuto modo di rilevare dallo studio della Corte dei Conti ce ne sono negli aspetti organizzativi e io direi che in queste settimane più che mai si giustifica questa critica; poi processi di produzione delle prestazioni e trasparenza. La trasparenza a cui fa riferimento la Corte dei Conti si rifà ai curriculum dei titoli di incarichi dei collaboratori e delle consulenze, cioè in pratica secondo la Corte dei Conti non c’è trasparenza nel mettere a conoscenza dell’opinione pubblica i curriculum dei professionisti. Abbiamo poi un’ulteriore segnalazione, che rileva il controllo riguardante gli acquisti dei beni sanitari. Anche qui c’è una certa criticità. Si evidenzia che c’è stato un aumento dell’1,86%.

Abbiamo quindi sicuramente una sanità al top, una sanità che è fra le più costose d’Italia – c’è quindi un perché anche in merito all’essere al top – ma nonostante questo ci lamentiamo che stiamo spendendo troppo. Se vogliamo avere la qualità, è evidente che questa ha dei costi. L’assessore Zeni ad esempio evidenziava che si spendono 70 milioni in più per la distribuzione sul territorio. Un altro indice è che abbiamo un costo dei dipendenti, del personale della sanità – anche questa è una dichiarazione dell’assessore Zeni – che è superiore di 54 milioni. Si evidenzia poi che probabilmente questo è dovuto al fatto che vengono applicati due tipi di contratti diversi.

Io vorrei far notare all’Aula che noi possiamo sicuramente vantare un livello di qualità elevato, ma questo livello di qualità elevato della sanità io lo riscontro soprattutto nei rapporti umani che troviamo all’interno delle strutture ospedaliere. Quando io sento parlare pazienti che si sono recati all’ospedale Santa Chiara, perché evidentemente negli ospedali periferici non potevano ricevere le prestazioni opportune, e magari hanno fatto anche un’esperienza negli ospedali periferici, loro sanno riconoscere in modo inequivocabile, lo dicono in modo chiaro, che il livello del rapporto fra paziente e operatore sanitario negli ospedali periferici è elevatissimo. Questo perché evidentemente l’ospedale periferico, che è più piccolo, può garantire un ambiente più umano che non una megastruttura come l’ospedale Santa Chiara, nonostante il grandissimo sforzo che tutti gli operatori dell’ospedale Santa Chiara mettono per dare il meglio di sé e quindi dare qualità alle proprie prestazioni. Noi dovremmo quindi difendere l’ospedale periferico, perché è l’ospedale che più mantiene quel rapporto di umanità e che trasmette quel principio per cui il paziente non è una cosa ma è un essere umano, con cui rapportarsi.

Per quanto riguarda gli ospedali periferici, abbiamo un elevato grado di soddisfazione delle prestazioni e dei rapporti con i pazienti. So che l’ex assessora Borgonovo Re ha girato molto il territorio periferico e credo che di questo possa darmi conferma: in effetti c’è questo altissimo grado di soddisfazione. Il fatto che magari a Trento ci sia meno non è colpa degli operatori, ma è perché probabilmente sono sufficientemente “tirati per il collo”. Vorrei far notare inoltre che, ad esempio, negli ospedali periferici – penso ad esempio a quelli che stiamo depotenziando, Arco, Tione, Cavalese e Borgo – troviamo ancora un particolare rispetto della privacy, con stanze di pazienti di sesso maschile e in un’altra stanza pazienti di sesso femminile, in modo tale che i pazienti ivi presenti si possano muovere all’interno della stanza con una certa disinvoltura e serenità. Oggi noi troviamo invece che al Santa Chiara – non si sa bene chi abbia dato questa disposizione – nelle stesse stanze pazienti di sesso maschile e di sesso femminile. Non credo che questo porti dei risparmi, sicuramente comporta dei disagi al paziente. Non mi si venga a dire che c’è una tendina che separa un letto dall’altro, perché quando uno deve girare in camera in mutande non c’è tendina che tenga. Ho fatto un’interrogazione su questo e ho presentato anche un ordine del giorno, che chiederò poi all’Aula di votare, perché è una cosa che mi hanno segnalato tantissimi familiari e tantissimi pazienti. Spero che anche per il Santa Chiara possiamo reintrodurre quel concetto di privacy e che della centralità della persona non si faccia soltanto uno slogan.

Dicevo che il depotenziamento degli ospedali a cui noi assistiamo riguarda proprio quegli ospedali periferici che ancora vivono e riescono ad esprimere la centralità della persona. Questo depotenziamento, da quel che si è potuto sentire tra i vari amministratori della periferia, rivela delle carenze sul piano della previsione e programmazione. Carenze nei processi di coinvolgimento dei territori, delle comunità locali, nell’accogliere e valorizzare il contributo delle categorie professionali. Il nuovo assetto della rimodulazione dei servizi prevede che, ad esempio, Trento, Rovereto e Cles non subiranno alcun intervento, andranno avanti come sono sempre andati, mentre per Arco, Tione, Cavalese e Borgo Valsugana avremo un depotenziamento importante. Ad esempio i punti nascita funzioneranno solo in orario d’ufficio, in poche parole si potrà partorire in orario d’ufficio, perché dalle 18.00 alle 8.00 del mattino viene meno l’anestesista e sappiamo essere la figura centrale di un ospedale. Di conseguenza, se non hai l’anestesista, non puoi certo pensare di tenere dei punti nascita attivi.

Vorrei ricordare che il programma del 2008 del PATT diceva che puntava “al mantenimento e alla valorizzazione dei presidi ospedalieri periferici e dei punti nascita attuali; attivazione di forme di verifica finalizzate alla possibilità di introdurre modalità innovative che consentano di ripristinare il punto nascita di Borgo Valsugana. Questo era quello che aveva detto il PATT nel 2008. So che durante la campagna elettorale del 2013 si andava dicendo la stessa cosa, ma di fatto noi oggi assistiamo ad un reale depotenziamento. Non solo a Borgo, ad esempio, non è stato ripristinato il punto nascita che è stato tolto nel 2006, se ben ricordo, ma addirittura adesso è stato anche tolto l’anestesista nelle ore notturne e nei giorni festivi, per cui è stato ulteriormente impoverito. Abbiamo dunque Arco, Tione, Cavalese e Borgo che vengono privati di questa ulteriore figura fondamentale. Rimarrà invece una medicina operativa h24, la chirurgia in day surgery, quindi in orario diurno, e anche le urgenze soltanto nell’orario diurno, in quanto sappiamo che se manca l’anestesista non si può certo portare in sala operatoria qualcuno per operarlo.

Sono andato a guardare il documento della Conferenza permanente per i rapporti fra Stato, regioni e Provincia autonoma di Trento, e ho scoperto una cosa interessante: innanzitutto prevede che ci siano 3,7 posti letto accreditati per ogni 1000 abitanti e prevede che in questi posti letto ci sia uno 0,7 destinato alla riabilitazione e alle lungodegenze. I presidi ospedalieri sono classificati in tre tipologie: abbiamo il presidio ospedaliero di base e il presidio ospedaliero di primo livello. Vorrei ricordare che per quanto riguarda il presidio ospedaliero di base, che prevede un bacino d’utenza fra gli 80 mila e i 150 mila abitanti, è prevista la figura dell’anestesista. Se noi leviamo questa figura dell’anestesista nelle ore notturne, mi domando come può essere classificato questo presidio, se non come presidio di zona particolarmente disagiata. Abbiamo quindi un’ulteriore classificazione, quella che ho appena detto, che guarda caso tiene presenti delle aree geograficamente e meteorologicamente ostili e disagiate. Se però noi andiamo a vedere che tipo di attività svolge questa tipologia di presidio, ossia delle zone particolarmente disagiate, scopriamo che questo presidio prevede il pronto soccorso, prevede la chirurgia generale ridotta, quindi intervento in day surgery, e disponibilità per il restante orario per i casi risolvibili in loco (abbiamo in pratica una chirurgia day surgery nelle ore diurne); abbiamo poi una medicina generale, in cui sono previsti 20 posti letto, occupati per il 70% per la medicina e per il restante 30% a disposizione per eventuali pazienti che dovrebbero essere operati in day surgery. In tale struttura non è prevista nessun’altra specialità. Mi viene allora il dubbio che questo costante depotenziamento delle strutture periferiche alla fine miri a far sì che questi ospedali si ritrovino ad essere, appunto, dei semplici presidi ospedalieri in zona particolarmente disagiata, ossia con un pronto soccorso, che di notte diventa primo soccorso, perché se manca l’anestesista non si può che chiamarlo tale, che avrà una chirurgia day surgery, una medicina e nient’altro. Questa è l’impressione che io ho: gli ospedali periferici alla fine noi li ridurremo a questa tipologia di nosocomi.

Io vorrei ricordare che l’assenza dell’anestesista pone non solo dei problemi per quanto riguarda i punti nascita e le sale operatorie, ma anche per i pazienti in dialisi. Sapete che quando c’è una dialisi, se c’è un’emergenza e non c’è l’anestesista reperibile, la dialisi non può essere fatta, tanto più se in una situazione di emergenza, perché significa che il paziente è in una situazione di edema polmonare e la dialisi può essere fatta solo se c’è la possibilità di reperire un anestesista. Cosa succede? Non avendo la possibilità di reperire l’anestesista di notte, la persona che viene sottoposta a dialisi dovrà per forza recarsi a Trento, Rovereto o Cles. Per quanto riguarda i pazienti che magari si recano al pronto soccorso e vengono sottoposti ad una sedazione importante, perché magari in crisi psichiatrica preoccupante, non possono essere inviati alle psichiatrie dove non c’è un anestesia, proprio per evitare che, se la sedazione è importante, vadano in insufficienza respiratoria, legata alla complicanza della sedazione. Ci troviamo spesso, attualmente perlomeno, a esporre i sanitari ad assumersi dei rischi e questo credo non sia giusto.

Sempre più dunque, la politica dei servizi sanitari tende dell’accentramento, dove vorremmo che il Not fosse il perno di tutta questa nuova organizzazione. Not che ha avuto una storia che lascia piuttosto perplessi. Io vorrei evidenziare che pretendiamo di chiudere o comunque di depotenziare in modo importante le strutture periferiche e ci proponiamo di fare una struttura che prevede 300 posti letto in meno rispetto all’attuale Santa Chiara. Io mi domando come si pensi di affrontare l’arrivo della popolazione, perché più sono depotenziati gli ospedali periferici e più alla fine i pazienti si porteranno verso il centro: mi domando come riusciremo ad affrontare questo arrivo di altri pazienti. Addirittura vorrei ricordare che il dottor Ioppi aveva dichiarato, proprio per quanto riguarda il Not, che sono previsti pochi posti letto e sono insufficienti per far fronte alle esigenze di un aumento nel numero di parti su Trento. Immaginiamoci le altre unità operative. Per quanto riguarda i parti a Trento, il dottor Ioppi diceva: “Il Not prevede un numero insufficiente di posti letto”. Se noi ascoltassimo un po’ di più questi professionisti, forse eviteremmo di fare dei bandi su progetti che evidentemente non rispondono alle reali attese del territorio.

Ci aveva ricordato il consigliere Giovanazzi che abbiamo già speso 140 miliardi di lire – e ne sono poi stati spesi altri, in euro – per il Santa Chiara. Mi chiedo: prima ci hanno detto che il Not doveva essere fatto perché l’attuale ospedale presentava tutta una serie di criticità, ricordo, ad esempio, quello che era stato pubblicato sul giornale, dove si diceva che l’ospedale Santa Chiara era pericoloso…

Un professionista diceva: “Io sono convinto che non si possa andare avanti ancora a lungo con il vecchio ospedale. Credo che non vi sia un impianto a norma sul piano elettrico”. Questo lo diceva nel 2014, quando noi avevamo già speso 70 milioni di euro per il vecchio ospedale. Ricordo che anche il Presidente Rossi aveva dichiarato che “quella che racconta il professore è la verità e per fortuna c’è qualcuno che sosteneva che non servisse un nuovo ospedale”. Sono intervenuti allora altri professionisti, chiedendo di capire meglio e a un certo momento il Presidente Rossi deve smentire se stesso e dire che operarsi al Santa Chiara è sicuro e che i problemi che prima erano di normativa di sicurezza ora, invece, sono legati agli spazi. Dunque il Santa Chiara sarebbe piccolo.

Però, attenzione: se noi applichiamo la filosofia di ridurre i posti letto nel Not, da 900 dell’attuale Santa Chiara a 600 al Not, allora io dico che anche il problema di spazi viene meno. Il problema di spazi non si giustifica, perché comunque se applichiamo la stessa filosofia, togliendo 300 posti letto liberiano una notevole quantità di superficie anche all’ospedale Santa Chiara. Questo è importante dirlo, perché qui non si capisce cosa veramente spinga la pubblica amministrazione a spendere. Ricordo che il progetto iniziale, adesso probabilmente sarà molto di più, prevedeva una spesa di 1,7 miliardi di euro per il nuovo ospedale. Sappiamo che proprio l’annullamento del bando ci è costato, per far fronte alle cause, già 131 mila euro e Dio solo sa quanto ci costerà se i vari partecipanti alla gara, che si sono visti esclusi, chiederanno i danni. Se i danni che dovremo pagare saranno del 10%, ci ritroveremo a perdere altri 170 milioni di euro, buttati su per il camino.

Abbiamo quindi un sistema sanitario che ormai sempre più sembra affidarsi all’elisoccorso. Per quanto riguarda l’elisoccorso, forse è il caso di ricordare che si giustifica per il semplice fatto che va incontro alle esigenze delle persone che sono in stato di emergenza. Però è anche giusto evidenziare che nel 2013 per l’elisoccorso di Bolzano, che parte da tre basi operative, si sono spesi 2,2 milioni di euro, con circa 200 interventi. A Trento, con gestione in-house della struttura, con operatività centralizzata all’aeroporto di Mattarello, abbiamo superato la bellezza di 11 milioni di euro, facendo in pratica gli stessi interventi. Il calcolo è che più o meno il costo dell’elicottero al minuto è di € 140. Sappiamo che sono in servizio 12 piloti, 13 tecnici, 13 medici anestesisti, 16 infermieri, 20 tecnici, 11 unità cinofile durante il periodo invernale, laddove ce ne fosse bisogno per incidenti, valanghe, eccetera. Con il nuovo servizio esteso alle ventiquattr’ore, è stato poi richiesto l’intervento di altri tre infermieri, tre piloti, altri tre tecnici e così via.

Attenzione però: noi confidiamo tanto su questo elicottero, però questo presenta tutta una serie di criticità. Ad esempio il maltempo è una delle variabili che possono compromettere la possibilità di farlo volare. C’è anche la scarsità di visibilità: ad esempio nel 2005 il 6% degli interventi, soprattutto nelle ore notturne, è stato annullato per maltempo. Sappiamo che abbiamo 16 piazzole, una in via di costruzione in Val di Cembra. Per ogni chiamata dove si prevede arrivi l’elicottero deve essere attivata anche una squadra di vigili del fuoco, per prevenire evidentemente incidenti e in futuro l’obiettivo è quello di dotare l’elisoccorso di visori notturni militari, che sembra costino 60 mila euro l’uno. Attenzione: gli elicotteri che volano di giorno sono due e uno di notte. Quando l’elicottero di notte è impegnato, ad esempio su un incidente, per cui l’anestesista viene lasciato sul luogo dell’incidente con il personale sanitario, se c’è un’altra emergenza questa evidentemente non può ricevere la risposta che dovrebbe avere, proprio perché abbiamo un solo elicottero che si attiva.

Quando parliamo di punti nascita vorrei ricordare che in una question time della consigliera Borgonovo Re – ci ha riportato lei stessa i dati – per i parti negli ospedali periferici di Arco e Tione il 47% avvengono di notte e il 49% a Cavalese. Mi sanno dire qui se ad Arco, Cavalese o Tione c’è un parto urgente, come è successo l’altro giorno ad Arco, in cui magari c’è anche un sospetto distacco di placenta, come pensano di affrontare l’emergenza di questi parti urgenti? Io sono stato in sala parto sei mesi, e so, per la poca esperienza che ho avuto, quanto tempo ci mette un parto che apparentemente non presenta problemi a diventare un parto che diventa problematico: bastano secondi, minuti. Sinceramente di confidare nell’elisoccorso, che riesca a prevenire gravi “incidenti di percorso”, chiamiamoli così, non me la sento. Vorrei ricordare ad esempio proprio l’aneddoto di Arco, che è andato a finire bene, per fortuna, ma ha dimostrato quanto è bastato veramente poco perché un evento, che doveva essere felice, si trasformasse in una tragedia.

Ho letto questi giorni sul giornale tutto il dibattito riguardo a questo evento. C’è chi difende l’operato, non degli operatori, che evidentemente fanno tutto il possibile, ma della filosofia che c’è dietro, e hanno detto “l’elicottero ci ha messo 27 minuti”, per preparare una sala operatoria ci vuole mezz’ora. Io sono stato in sala operatoria, ci ho lavorato, le urgenze so cosa sono e la sala operatoria è sempre pronta per le urgenze, altrimenti non si può parlare di pronto soccorso. In secondo luogo, da quando questa signora è arrivata ad Arco a quando è entrata in sala operatoria, è trascorsa più di un’ora. Questi sono i dati: in 27 minuti, se ci fosse stata una sala operatoria ad Arco operativa, quel bambino sarebbe nato. È andata bene, siamo tutti felici, non dobbiamo piangere un bambino per questa nuova riorganizzazione, però attenzione: questo sistema ci sta esponendo a gravi rischi.

Un’altra cosa: per quanto riguarda il Garda trentino, che abbiamo depotenziato, a cui abbiamo tolto la possibilità dei punti nascita, perché dal momento in cui abbiamo tolto l’anestesista di notte non si può partorire, nessuna donna è così matta da rischiare di andare a partorire alla mattina e trovarsi alle sei di sera trasferita in un altro ospedale, va direttamente negli ospedali centrali, Rovereto o Trento. Il Garda trentino nel 2013, oltre agli abitanti che mi sembra siano 40 mila, abbiamo avuto un flusso di oltre 3 milioni di persone che sono andate sul Garda trentino, nel 2013. Nel 2014 quasi 4 milioni di persone e nel 2015, da gennaio ad agosto, quasi 3 milioni di persone. Pensate che un ospedale, con tutta questa gente, non si giustifichi?

Non so se lo sapete, ma il pronto soccorso di Trento ha avuto un accesso di 97.841 pazienti nel 2014, 268 accessi al giorno, 11 accessi all’ora. I restanti oltre 121 mila accessi ospedalieri sono avvenuti negli ospedali periferici, 57 mila tra Arco, Tione, Borgo e Cavalese, e in questi ospedali abbiamo avuto 646 codici rossi. Cosa vuol dire codice rosso? Normalmente il codice rosso richiede l’intervento dell’anestesista. Questo vuol dire che questi ultimi ce li ritroveremo tutti a gravare sugli ospedali di Trento, Rovereto e Cles. Andremo ad ingolfare ulteriormente un pronto soccorso, ad esempio quello di Trento, che riceve già al giorno mediamente 268 persone.

Abbiamo però depotenziato il pronto soccorso di Cavalese, che negli accessi totali vede 15.909 persone, ma la qualità dell’accesso è preoccupante: abbiamo 248 codici rossi. Quando si fanno delle valutazioni non si guarda solo il numero degli accessi, ma anche la qualità degli accessi, alla gravità. Il codice rosso non è uno che sta bene, normalmente ha bisogno dell’anestesista. Ad esempio a Cles, 23 mila accessi, abbiamo 169 codici rossi. Se dovessimo guardare alla qualità dei codici rossi, dovremmo sicuramente dare precedenza alla presenza dell’anestesista su Cavalese e non su Cles. Qui però non facciamo la guerra fra ospedali, il discorso è che gli ospedali dovrebbero avere sempre un anestesista, 24 ore su 24, e se non presente in struttura costantemente, almeno reperibile. Sommati, noi abbiamo avuto in tutto il Trentino nel 2014, 219.066 accessi presso i pronto soccorso. Di questi 1420 hanno richiesto l’intervento dell’elicottero, 34.550 hanno raggiunto il pronto soccorso grazie alle 55 ambulanze presenti sul nostro territorio, di cui 46 dotate di operatori di pronto soccorso mentre solo 12 sono equipaggiate anche di infermiere e 183 mila persone hanno raggiunto il pronto soccorso con i propri mezzi.

Adesso voglio soffermarmi un attimo sul discorso del personale, perché abbiamo assistito, in queste settimane, veramente ad una commedia. Voi sapete che per la questione della norma che prevede le 11 ore di riposo dei professionisti, la Provincia autonoma di Trento ha giustificato tutta una serie di interventi di riorganizzazione delle strutture. L’Azienda sanitaria, ma presumo anche chi rappresenta l’assessorato – mi pare però di aver capito che quando era assessore Borgonovo Re non era stata assolutamente informata – la Provincia di Trento si è trovata piuttosto impreparata su questo discorso.

Eppure già nel lontano 1993 erano stati stabiliti a livello europeo degli standard comuni che disciplinavano l’orario di lavoro. Nel 2000 erano stati applicati tali standard comuni a tutti i settori dell’economia e nel 2003, in pratica, si dispone una sorta di testo unico sull’organizzazione dell’orario di lavoro e per il riposo giornaliero la misura considerata minima è quella delle 11 ore. L’Italia recepisce questa norma nel 2003. Nel 2007 Prodi fa un pastrocchio appellandosi alla congiuntura economica e in qualche modo annacqua questa benedetta norma, per cui succedeva che addirittura in certe realtà ci trovavamo dei medici che facevano due turni consecutivi di lavoro. Nel 2011 le associazioni di categoria intervengono presso l’Europa per chiedere se fossero i “figli della serva”. L’Europa chiede spiegazioni all’Italia, avviando una procedura di infrazione. L’Italia cerca in qualche modo, nel 2012, di giustificarsi, ma le giustificazioni del Governo italiano sono respinte, per cui nel 2014 si corre ai ripari e si cerca di togliere quegli errori. Ci si dà un anno di tempo perché questa norma venga applicata. Questa è la storia di questa benedetta norma. Eppure, nonostante ci sia questa norma ormai in ballo da diversi anni l’Azienda sanitaria di Trento cade dal pero sei giorni prima che entri in vigore. Eppure, l’11 maggio 2015 si è fatta una riunione, in presenza dell’Azienda sanitaria, quindi del direttore generale, e in presenza dell’assessore, o chi per esso. In quella sede non si è parlato assolutamente di questa norma; questo l’11 maggio 2015.

Di questa norma il dipartimento della sanità viene a conoscenza a seguito di una riunione a Roma, a cui ha partecipato un dirigente, in cui si cercava di capire quali fossero le conseguenze che avrebbe portato l’applicazione di questa norma. A questo punto il dipartimento comunica all’Azienda sanitaria che esiste questo problema, l’Azienda sanitaria non risponde e noi ci ritroviamo che il 17 e il 19 novembre ci sono i tecnici dell’Azienda sanitaria che si trovano per preparare una circolare che poi viene mandata in giro e va a finire sulla stampa. Attenzione: non solo non sapeva niente l’ex assessora Borgonovo Re, a cui credo, ma non sapeva niente neppure l’assessore Zeni. D’altra parte era arrivato da poco, ma neanche lui era stato informato. Qui c’è sicuramente una grave negligenza, mi verrebbe quasi da dire, forse malafede. Sta di fatto che noi oggi ci troviamo a dover far pagare al personale l’incapacità di gestione, di programmazione e di previsione. Quando in quest’Aula abbiamo portato una mozione perché chiedevamo di rivedere le deleghe al direttore generale Flor, non le chiedevamo perché non ci piace Flor, ma perché avevamo questi elementi. Non solo questi, perché c’è anche tutta la questione del bando del Not. Anche su quello possiamo riconoscere in lui, ma non solo in lui, intendiamoci, delle importanti responsabilità. Adesso ci troviamo con il personale fortemente in difficoltà nell’ambito ospedaliero, proprio in seguito alla carenza di programmazione, di previsione e organizzazione. La sanità in Trentino, come sappiamo, negli ultimi tre anni ha tagliato 100 milioni di euro. Ricordo che l’allora assessore, mi sembra fosse ancora assessore Rossi, aveva dichiarato che questi tagli non avrebbero nel modo più assoluto compromesso la qualità dei servizi. Mi domando allora a cosa servivano questi 100 milioni, se togliendoli nessuno se ne accorge.

Io vorrei ricordare che già l’anno scorso questa Giunta aveva proposto di ridurre del 40% la retribuzione di risultato ai medici. Vorrei ricordare che questa Giunta aveva proposto già l’anno scorso di bloccare il turn-over al 20%, per cui ogni cinque medici che andavano in pensione ne veniva assunto uno. Vorrei ricordare che già l’anno scorso era stato denunciato che i medici avevano svolto 318.421 ore di straordinario nel 2013, che solo 98 mila erano state pagate e tutte le altre erano andate nel calderone della buona volontà, e che questo loro impegno “oltre l’umano” ha fatto risparmiare alla Provincia 220 assunzioni. Ora però ci troviamo a dover, invece, assumere di corsa, perché è arrivata questa norma. È evidente che ci troviamo di fronte ad una carenza di personale, che non è solo quello medico ma anche infermieristico.

Il Presidente Rossi nella sua relazione ha citato una serie di documenti interessanti, che confermano la qualità della nostra sanità, però ha dimenticato di citare un documento altrettanto importante, sempre dell’OCSE, in cui si dice che per la copertura in regione solo dei turni a noi mancano 461 infermieri, che per la copertura dei turni e dei servizi mancano 602 infermieri. Anche questi sono dati.

Il fatto che noi abbiamo una alta qualità della sanità lo si deve non tanto a chi organizza, ma a chi quella sanità la fa funzionare, ovvero gli operatori. Non so se lo sapete, ma ogni giorno mancano circa 300 professionisti, in ambito sanitario per assenze per malattie, ferie, diritto allo studio, aspettative, eccetera… Ogni giorno noi non abbiamo in forza 300 persone. Abbiamo poi sempre più limitazioni lavorative, che si riscontrano nei professionisti, quali gli infermieri, in particolar modo. La maggior parte, il 79,6%, sono donne e il restante è costituito dagli uomini. Sono limitazioni lavorative legate al carico di lavoro, che comporta una serie di criticità. Questo per dire che quando parliamo di qualità della sanità trentina, per questa, se c’è, bisogna ringraziare chi, nonostante le difficoltà, nonostante la carenza di personale, riesce a garantirla: sono infermieri, oss, medici, tecnici, fisioterapisti, ostetriche. Sono questi a dare la qualità, non sono le strutture e neanche i dirigenti o i direttori generali. Questo va detto. Anzi, il direttore generale, per la sua incapacità di previsione e programmazione, ha costretto oggi dei professionisti a coprire, o comunque a intervenire, laddove l’organizzazione non è in grado di garantire qualità e sicurezza.

Esito dell'iniziativa

 

Resoconto integrale dell’intervento in occasione della discussione generale sul bilancio (disegni di legge 106 – “Legge collegata alla manovra di bilancio”, 107 – “Legge di stabilità provinciale” e 108 – “Bilancio di previsione della Provincia autonoma di Trento per gli esercizi finanziari 2016-2018”

 

 

 

Alcuni estratti del mio intervento in aula:

 

 

 

 

 

 

 

La relazione della Corte dei Conti sulla gestione dell’Azienda Sanitaria:

Delibera 2015 – Corte dei Conti su bilancio APSS

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