Sono mesi che assistiamo a un dibattito surreale tra chi manifesta il proprio credo religioso anche in politica e chi invece condanna tale esternazione. Non sono mancate prese di posizione di politici, giornalisti e dell’intellighenzia ideologicamente schierata. Non ha voluto far mancare la sua condanna neppure una certa élite clericale che, a mio avviso, ha peggiorato i toni della discussione, turbato gli animi e, così facendo, allargato il solco che la separa dal sentire comune dei fedeli.
Non mi preoccupa affatto, permettetemi, chi esibisce un crocifisso, evoca i Santi che appartengono alla nostra storia, affida l’Italia al Cuore Immacolato di Maria... questo non mi preoccupa. Io invece, da cattolico, mi preoccupo di una Chiesa che esonda dal suo ruolo, che fa troppa politica e si occupa troppo poco di fede, polarizza e divide il mondo cattolico in linea con quello che avviene in politica. Una Chiesa che ha rinunciato alla terzietà a cui Dio la chiama, al punto di identificare il bene della stessa con posizioni politiche contingenti e questionabili. Appare sempre più una Chiesa che ha rinunciato alla “teologia” a favore della “sociologia d’accatto”, una Chiesa ridotta a strumento con fini secolari, una Chiesa che sta perdendo il suo popolo, mentre i preti si stanno estinguendo.
Se oggi sono altri a proporci i simboli propri del cristianesimo, l’anomalia sta in chi da tempo vi ha rinunciato, preferendo ad essi altri vessilli e trasformando la Chiesa in una Ong, svuotata di Cristo, e riempita di altro.
La crisi che sta vivendo la Chiesa non è tanto dovuta alla carenza di vocazioni, quanto semmai alla perdita della propria identità. Personalmente preferisco chi difende la tradizione cristiana e ne parla in Italia e in Europa, fosse anche per ottenere consenso, a quanti sono invece all’opera per schierarla con i propri più inveterati avversari (aborto, eutanasia, droga libera, distruzione della famiglia naturale, ecc...) e per minimizzarne l’essenza se non addirittura cancellarla.
Cons. Claudio Cia