In un contesto, interno a Fdi ma anche agli equilibri della coalizione di centrodestra, diviso e a volte incendiario, Claudio Cia si divide tra il ruolo del pompiere, che spegne le polemiche, e quello del sarto che cerca di cucire ciò che si è strappato. Tutto questo senza perdere di vista anche un obiettivo personale che sarebbe il coronamento di una lunga carriera politica. Cia è stato il secondo più votato nella lista di Fratelli d’Italia, a sua volta secondo partito della coalizione che ha vinto. Naturale che il suo nome sia circolato nei vari toto-giunta di questi giorni.
Cia come valuta il suo risultato?
«Sono molto contento perché sono cresciuto ancora. È un risultato che non è frutto di un mese di campagna elettorale ma di cinque anni di lavoro in consiglio provinciale, con 17 disegni legge presentati e 7 approvati, e fuori dal consiglio. Perché ho sempre pensato che è il lavoro sul territorio che deve indirizzare quello in aula».
E quello del partito?
«È indubbio il miglioramento rispetto alle scorse provinciali, ma dobbiamo essere onesti intellettualmente: rispetto alle elezioni nazionali di un anno fa era legittimo aspettarsi di più. Lo diceva anche il commissario Urzì tempo fa, che si doveva ambire a essere il primo partito. Quindi un po’ di amaro in bocca c’è».
Come se lo spiega?
«Credo sia frutto di un tentativo eccessivo di distinguersi dal resto della maggioranza. Secondo me alla fine è sembrato che corressimo in solitaria e non all’interno di una coalizione e questo i cittadini non lo hanno capito o non ci si sono riconosciuti. Non siamo riusciti a trasmettere che facevamo parte di un progetto comune».
E in Fdi c’è un progetto comune?
«È innegabile che il partito sia cresciuto velocemente, accogliendo persone con percorsi, risultati e aspettative diverse. Credo che questa crescita improvvisa sia legata anche al successo di Giorgia Meloni che è il punto di riferimento per tante persone. Ora dobbiamo prendere queste anime molteplici e costruire un percorso comune che diventi un pensiero politico non legato ad una singola figura che decide tutto sul territorio. Spero che il congresso dei prossimi mesi valorizzi questo aspetto e non si trasformi in un assalto alla diligenza».
Prima Urso, poi Urzì, è tempo di un segretario trentino per Fdi?
«Non c’è dubbio, ma lo dice il partito stesso nel momento in cui indice un congresso. Io credo che debba essere una persona che mette l’unità e il bene comune sopra agli interessi personali. Meglio se non ha altre cariche, ognuno deve fare il suo: il consigliere fa il consigliere, l’assessore fa l’assessore. Credo che una persona del territorio sarebbe la scelta giusta».
Secondo lei Fdi dovrebbe avere due assessori?
«Chiaramente sono il presidente e le segreterie politiche a definire numeri e ruoli, ma secondo me sì. La differenza con la Lega è marginale, quindi, se la matematica vale sempre, se loro ne fanno due ne spettano altrettanti a noi».
Ma c’è chi dice che la vicepresidenza vale doppio.
«Non so da quando esiste questa regola, mi fa sorridere. Se il vice vale due il presidente vale almeno quattro? Le regole non sono mai state queste, non si possono cambiare ogni volta e spero che il partito non si arrenda a riconoscere valida questa cosa».
Da secondo più votato è ovvio pensare a lei oltre che a Gerosa, la sanità è la sua ambizione?
«Credo di essere tra i papabili. Ma si sa che chi entra Papa in conclave esce sacrestano. È ovvio che per il mio percorso professionale e politico e anche per la mia sensibilità mi farebbe piacere. Se ci fosse l’opportunità, e il presidente e il partito ritenessero giusta questa nomina, sarei a disposizione con la consapevolezza di poter fare un buon lavoro, grazie alla sensibilità maturata in questi ambiti. So di non essere l’unico a poter ricoprire un ruolo. Ho sentito parlare di manager. I tecnici sono bravissimi, ma la sanità non è solo contabilità, è innanzitutto pazienti e personale. Non dobbiamo pensare solo ai conti».
Si è parlato di lei anche per la presidenza del Consiglio.
«Un ruolo espresso dalla maggioranza ma condiviso con la minoranza che deve riconoscere la capacità della persona indicata di rappresentare terzietà, di rivestire questo ruolo di garante di tutto il Consiglio. Sarei onorato se entrambi riconoscessero in me queste qualità. Del resto ho visto da vicino due presidenti bravi seppur diversi. Di Walter (Kaswalder) ho sempre apprezzato la disponibilità. Dorigatti invece ha ridato autorevolezza al ruolo, elevandolo alla visione che i padri della Provincia avevano pensato per questa carica».
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L’articolo su “Il T” del 02.11.2023: