Durante il dibattito seguito alla presentazione delle relazioni congressuali “TOMOSINTESI… E NON SOLO: Le domande e le risposte”, sono emersi pareri contrastanti sullo screening mammografico mediante tomosintesi. La metodica della tomosintesi per l’indagine di primo livello nei programmi di prevenzione su donne sane non convince, tant’è vero che il dott. Francesco Sardanelli, Presidente sezione di senologia della Società Italiana di Radiologia Medica, a domanda esplicita “Lo screening in tomosintesi: pronti a partire” ha dichiarato che “la risposta non è semplice”, è troppo presto, che ci sono ancora pochi studi e comunque chi intende attivare questa metodica nello screening di primo livello deve passare da un’attenta valutazione del comitato etico di riferimento.
Perplessità sull’uso della tomosintesi nello screening è stata manifestata anche dal dott. Beniamino Brancato dell’l’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi di Firenze (ha lavorato a Trento fino alla fine degli anni ’90), che ha evidenziato l’insufficienza di evidenze scientifiche, dichiarando che “è troppo presto” per trarre conclusioni.
Non di meno sono i dubbi manifestati dal dott. Gianni Saguatti, Presidente della Società scientifica Gruppo Italiano Screening Mammografico che raccoglie i dati dello Screening per il Ministero della salute. Ha fatto presente che lo screening rappresenta un intervento di sanità pubblica e che quindi deve garantire equità di accesso a tutti, che chiudere i centri sul territorio perdendo oltre il 3 % di adesioni allo screening mammografico è cosa non da poco conto (ha dichiarato “se avessi perso la stessa percentuale in Regione Emilia Romagna mi avrebbero fatto nero”), che sono da valutare le sovradiagnosi e i cancri ad intervallo (quelli che insorgono tra un esame e l’altro), che la tomosintesi non è ancora nel tariffario nazionale come esame di screening e che ad oggi non sono giustificati i costi e i tempi di attesa per la risposta. Ha concluso dicendo “staremo a vedere i risultati del Trentino”.
Lo studio pilota per lo screening mammario in tomosintesi – della durata di 2 anni – è stato autorizzato dalla Giunta provinciale nel 2014 e coinvolge circa 70 mila donne sane che rientrano in una fascia d’età a rischio che va dai 50 ai 70 anni. A questo punto è lecito chiedersi se le donne trentine, oltre ad essere state private di un servizio sanitario di screening di prossimità, non si siano anche ritrovate a loro insaputa a fare da cavie per un programma di studio che è in cerca di affermazioni scientifiche. Se ciò trovasse conferma, ritengo grave che la Provincia abbia avallato e sostenuto una tale operazione che calpesta il diritto della donna ad essere informata in tutto e per tutto e non usata. Chi oggi si sottopone a tomosintesi non sa di essere oggetto di studio funzionale al progetto pilota che, ripeto, è ancora in cerca di affermazioni scientifiche.
Cons. Claudio Cia