Ieri si è svolto l’incontro dei “sindaci per il sì” al referendum costituzionale di dicembre. Naturalmente in prima linea c’è anche il sindaco Pd di Trento, Alessandro Andreatta, che – come se non avesse abbastanza gatte da pelare a livello comunale -, si inserisce nel lungo elenco di opinionisti del sì. Ha esordito sottolineando l’esigenza di spiegare meglio i contenuti di questa riforma, e già qui significa che se gli stessi promotori ritengono necessaria maggiore chiarezza è perché evidentemente la riforma è scritta male, e la Costituzione, lo si insegna ai bambini, deve essere facilmente comprensibile a chiunque.
«Io non amo cambiare per cambiare» ha sostenuto Andreatta. Evidentemente il comunicato è ironico, considerato il concetto di cambiamento introdotto con il recente rimpasto di giunta, ma nel merito secondo il sindaco di Trento: «Questa riforma consente di arrivare ad avere leggi più rapide ed efficaci, leggi che vengono approvate quando servono non dopo anni e magari stravolte. Poi si aumenta la democrazia e la partecipazione prevedendo il referendum propositivo e riducendo il quorum del referendum abrogativo. È un’occasione irripetibile».
Ma vediamo cosa prevede di così innovativo la riforma Boschi-Renzi:
La disciplina costituzionale attuale prevede che “il popolo esercita l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli”, bene, questo numero è stato portato da 50mila a 150mila, e meno male, perché inizialmente dovevano essere addirittura 250mila. È il caso di ricordare che dal 1979, su circa 260 proposte di legge presentare solo 3 hanno completato il loro iter confluendo in qualche legge. Questo per dire che se questo istituto è ritenuto uno strumento così importante ed efficace per mantenere la politica più vicina alle richieste dei cittadini, è davvero difficile capire perché si sia scelto di triplicare il numero di firme da raccogliere.
Viste le astruse modalità di raccolta firme, note per essere tra le più complesse a livello internazionale, è chiaro che si procede in una direzione verso la quale solo i grandi partiti potranno portare avanti le loro iniziative pseudo-popolari.
Mi si risponderà che il numero è stato innalzato perché la riforma prevede finalmente un obbligo di discussione, ma le modifiche all’art. 71 prevedono solo che “la discussione e la deliberazione conclusiva sulle proposte di legge d’iniziativa popolare sono garantite nei tempi, nelle forme e nei limiti stabiliti dai regolamenti parlamentari”. È evidente che questo rimando a regolamenti parlamentari genera alquanti dubbi sulla volontà di migliorare effettivamente gli strumenti di partecipazione. Viene da chiedersi perché non si è esplicitato direttamente un obbligo di pronuncia da parte del parlamento, o un meccanismo che ne definisca finalmente l’iter.
Altra novità è la possibile introduzione di nuovi istituti ricordata dal Sindaco Andreatta, come i referendum propositivi. Anche in questo caso si tratta solo di accenni molto vaghi, poiché le modalità di attuazione sono demandate rispettivamente a una successiva legge costituzionale e a una legge ordinaria. È una previsione con una formulazione tanto ampia che lascia intravedere una voluta indeterminatezza. Si sarebbe potuto inquadrare almeno i tratti essenziali di questi strumenti, ma evidentemente l’obiettivo finale non è quello di migliorarne l’incisività.
Le maggiori attenzioni sono rivolte all’intervento sull’art. 75 della Costituzione, che prevede l’istituto del referendum abrogativo. Il numero di firme previste viene mantenuto a 500.000 e viene mantenuto anche il quorum della maggioranza degli aventi diritto. Si prevede invece che, qualora la richiesta di referendum arrivi da 800.000 elettori, il quorum equivalga non più alla maggioranza degli aventi diritto bensì alla maggioranza dei votanti delle ultime elezioni della Camera.
Anche in questo caso si tratta evidentemente di un tentativo di conciliazione tra le istanze volte alla totale abolizione del quorum e il fronte che invece sostiene strenuamente la necessità di esso. Ci troviamo quindi con firme e quorum variabili, tanto per aumentare la confusione. Anche a detta di diversi studiosi, è evidente che tale modifica non abbia sostanzialmente un fondamento razionale ma risulti, al contrario, un’assurdità.
Siamo in una fase di crisi dell’istituto referendario, non certo perché le firme da raccogliere sono troppo basse, ma in primo luogo per il mancato raggiungimento del quorum per tutti e 24 i referendum svoltisi tra il 1997 e il 2011. Ma va anche evidenziato come dal 2000 al 2005, a fronte dei 28 quesiti referendari presentati, ben 14 sono stati bocciati dalla Corte Costituzionale e anche negli ultimi 10 anni la tendenza è rimasta immutata. Ecco che se veramente si voleva migliorare l’istituto referendario di poteva prevedere una valutazione preventiva sull’ammissibilità del quesito raggiunto un certo numero di firme.
Ecco perché dire, come fa il sindaco Andreatta, che la riforma costituzionale Boschi-Renzi “aumenta la democrazia e la partecipazione” è qualcosa di assolutamente inesatto e ingannevole. Non si sa dove porteranno i continui rinvii e i regolamenti che li disciplineranno.
La questione relativa alla modifica degli strumenti di partecipazione popolare è niente di più di un effetto collaterale di una riforma volta alla modifica radicale del bicameralismo e della ripartizione delle competenze Stato-regioni. Si tratterà in sostanza di strumenti di dubbia e improbabile utilità o addirittura volti in sostanza a ridurre ulteriormente i poteri dei cittadini.
L’invito a chi crede nella partecipazione dei cittadini è quello quindi di stare molto attenti all’imbonitore fiorentino e a tutti i suoi emulatori a livello locale, di informarsi molto bene su questi delicati aspetti della riforma, e di avvicinarsi a tutti quei comitati che anche in Trentino cercano di migliorare gli strumenti di partecipazione popolare.
Soprattutto sostenere un deciso NO al referendum di dicembre, un NO a questo tipo di prese in giro.