Fratelli d’Italia gioca d’anticipo e svela il piano per ridisegnare la sanità trentina da mettere sul tavolo in vista delle provinciali dell’autunno 2023, con qualche scollamento — «evidente», ammette il consigliere Claudio Cia, con la linea dell’attuale maggioranza di cui fa parte — in particolare nella visione degli ospedali periferici. Cavalese in primis. È ormai nota la posizione di FdI sulla realizzazione del nuovo ospedale che dovrebbe sorgere a Masi di Cavalese. «Serve metodo, bisogna cambiare facendo diventare protagonisti gli Ordini professionali che finora non sono stati ascoltati», osserva.
Il piano
Cia tratteggia il perimetro della sanità trentina del futuro, rimarcando uno strappo in maggioranza su uno dei temi centrali della politica, che sarà sicuramente uno dei cavalli di battaglia di FdI per le prossime elezioni. Sarà incentrata su «un’organizzazione innovativa — spiega — che possa da un lato utilizzare, sostenendo e potenziando i servizi all’interno, le Rsa e le Apsp (Aziende pubblica di servizi alla persona) e dall’altro puntando a un’assistenza a chilometro zero che, però, non va confusa con servizi sanitari digitali. Non deve essere il cittadino a continuare a spostarsi, ma i medici specialisti e gli operatori sanitari che saranno itineranti a rotazione sul territorio».
Tema spinoso. Già il direttore dell’azienda sanitaria, Antonio Ferro, aveva parlato di mobilità dei medici, proposta che non piace molto ai sindacati. Nicola Paoli (Cisl Medici) non è nettamente contrario ma pone dei paletti: «Non deve essere obbligatoria e ci devono essere compensi giusti», ha chiarito. Concetto chiaro al consigliere: «La mobilità deve essere favorita e riconosciuta abbondantemente se vogliamo una sanità di livello. Si può risparmiare su altro».
Il personale
Il consigliere parte dai numeri e ricorda che la provincia di Trento nel 2001 contava 480mila abitanti, nel 2020 erano 542mila e la previsione per il 2030 è di arrivare a 584mila abitanti. «Nel 2016 i cittadini over 65 erano 114mila e si prevede che nel 2050 arriveranno a 193mila, sono in aumento le disuguaglianze, povertà ed emarginazione, tutti fattori che espongono a un maggior rischio di malattia e cronicità. Pertanto aumenteranno le morbosità, è da qui che dobbiamo partire», analizza. Poi c’è il nodo organici, i medici e gli odontoiatri iscritti all’ordine sono 2.890 e l’età media è di 53 anni, il 30% dei medici di medicina generale potrebbe andare in pensione nei prossimi tre anni, il 77% dei medici di base ha più di 55 anni e poco più della metà ne ha 60. Entro qualche anno se ne andranno 300-400 medici. «I medici ospedalieri — osserva ancora Cia — sono 800 e 3 su 4 vogliono lasciare, abbiamo una carenza di infermieri tra i 423 e i 503 su un totale di 4.453 iscritti all’Opi, nei prossimi anni ci sarà una carenza spaventosa negli ospedali pubblici e sul territorio. Gli infermieri fanno un lavoro usurante, non a caso lo scorso anno abbiamo avuto 100mila giornate di malattia degli infermieri». La situazione è allarmante, come ha evidenziato più volte anche Ferro. Il rischio è che si ricorra sempre più ai gettonisti che però annullano o quasi la presa in carico del paziente. Una situazione grave, determinata da un problema di risorse? «Nel precedente bilancio le risorse per la sanità erano 1 miliardo e 300 milioni di euro ed è in vista un ulteriore incremento di 100 milioni, così ha detto il presidente Fugatti», precisa Cia. «Ma dobbiamo partire da questa realtà per lavorare su una sanità territorio-centrica».
Ospedali periferici
Cia parte da un concetto: «Potenziare la sanità nelle valli non significa costruire nuovi ospedali». Quindi? «Creare degli ambulatori H24 di medicina generale nei pronto soccorsi con un medico di base e un’equipe di infermieri all’interno degli ospedali di valle affinché il paziente abbia già una prima risposta e in questo modo si sgravano i pronto soccorso — continua il consigliere —. L’ospedale di valle deve avere un pronto soccorso, un medico di medicina d’urgenza, un ambulatorio ginecologico e ostetrico, un ambulatorio di medicina generale, poi uno sportello “Ti aiuto” che accompagni i pazienti e i familiari». La casistica, però, è dimostrato, è importante. «Infatti non posso pensare che debba esserci tutto nell’ospedale periferico, ma dobbiamo evitare la mobilità dei pazienti».
Il ruolo delle Apsp
Per ovviare il tema delle liste d’attesa e diagnostici FdI sdogana il tema della sanità privata. «Non si può avere pazienti con Rao A o B e debba attendere tempi spaventosi», dice Cia. Quindi si può pensare a quella che il consigliere definisce «sacra alleanza». In sintesi: strutture private integrate nel sistema sanitario del Trentino «per garantire prestazioni programmate e decongestionare le strutture pubbliche, attraverso convenzioni, ma non devono essere sostitutive del pubblico», chiarisce. In quest’ottica di riorganizzazione un ruolo strategico lo avranno le Apsp che sono già presenti in modo capillare sul territorio. L’idea è integrarle con il territorio, «fungere da vere Case della Salute e aprirle al territorio — continua — utilizzando i servizi già esistenti. Quindi il cittadino può rivolgersi all’ambulatorio infermieristico della casa di riposo per i prelievi o medicazioni, per un percorso di riabilitazione. Questa valorizzazione e ottimizzazione concretizza il vero efficientismo, ovviamente questo presuppone degli investimenti. Le Apsp diventeranno funzionali al territorio».
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L’articolo sul “Corriere del Trentino” del 20.11.2022:
Il dibattito sul tema si sviluppa sul “Corriere del Trentino” del 22.11.2022: