Immigrazione: quello 0,9% che deve farci riflettere

Nei giorni scorsi il governo nazionale ha fornito le indicazioni relative alla distribuzione percentuale tra le Regioni e le Province autonome dei migranti che trovano accoglienza in Italia. Il contingente che si prevede di assegnare al Trentino è pari allo 0,9 % degli arrivi, come confermato anche dall’Assessore provinciale Luca Zeni. Si tratta di una cifra sulla quale mi pare ineludibile sviluppare alcune considerazioni, alla luce dell’imponenza del fenomeno migratorio al quale stiamo assistendo nel nostro Paese.

Secondo i dati forniti nei giorni scorsi dal Ministero dell’Interno, nel periodo di un anno compreso tra il 1° agosto 2014 e il 31 luglio 2015 sono sbarcati sulle nostre coste 175.029 migranti. Sono state riconosciute forme di protezione, regolate dal diritto internazionale, a 20.328 migranti (status di rifugiato: 2.933 persone, protezione sussidiaria: 7.075 persone, motivi umanitari: 10.320 persone), mentre a 22.167 migranti non è stato riconosciuto il diritto a ricevere forma di protezione. Evidentemente, ciò non significa che costoro siano stati automaticamente espulsi e reindirizzati verso i Paesi di provenienza. I respingimenti continuano ad essere difficoltosi, mentre coloro che non sono riconosciuti titolari di diritti di accoglienza e protezione vanno per lo più a ingrossare le fila dell’immigrazione clandestina. Mentre le strutture di accoglienza ospitano 89.083 migranti al 31 luglio 2015, tra il 2011 e i primi mesi del 2015 solamente circa 70.000 su 150.000 irregolari sono stati rimpatriati (dato tratto da un articolo di Bruno Ruotolo del 16 maggio 2015, apparso sul sito on-line del quotidiano La Stampa).

La situazione politica in alcune aree del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale lascia supporre che il flusso di arrivi particolarmente sostenuto degli ultimi mesi vada consolidandosi anche nei prossimi, portando i numeri in gioco a toccare nuovi massimi. Ci troviamo di fronte a un numero crescente di migranti che hanno diritto di fuggire da Stati retti da regimi autoritari e teatro di conflitti armati e, d’altra parte, non riusciamo a contrastare adeguatamente il fenomeno dell’immigrazione clandestina.

Abbiamo ascoltato, in queste ultime settimane, prese di posizioni molto forti da parte del Segretario della Lega Nord Matteo Salvini, che hanno trovato condivisione da parte dello stesso Beppe Grillo, a cui ha replicato – con inusitata durezza e tirando in ballo l’intero mondo politico – il Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana mons. Nunzio Galantino. Personalmente, trovo che i toni eccessivi, da una parte e dall’altra, finiscano per non aiutare la necessariamente faticosa e paziente ricerca di soluzioni non semplicistiche, che tengano conto di tutti i fattori in gioco e che obbediscano al criterio del realismo, al quale anche i Cristiani sono chiamati ad aderire. Certo, non ritengo condivisibili le parole di Salvini, allorché non indica alcuna soluzione realistica di fronte all’imponenza di un fenomeno che va compreso, va affrontato individuando il difficile equilibrio tra apertura e accoglienza nei confronti di chi cerca condizioni di vita più umane con la tutela della legalità. Allo stesso modo, trovo inopportune alcune dichiarazioni di mons. Galantino, laddove esprime un giudizio a mio avviso ingeneroso nei confronti del governo, da lui giudicato assente, quando si dovrebbe tener conto di quanti salvataggi in mare sono stati effettuati in questi ultimi anni e di quali difficoltà l’Italia sia costretta ad affrontare in qualità di porta per un’Europa che ancora non è riuscita a intraprendere la via della condivisione di una corresponsabilità circa la gestione del fenomeno migratorio. È anche abbastanza singolare che il Segretario della CEI indichi la Germania quale esempio da seguire in ordine alla revisione della normativa sull’immigrazione, quando si pensi con quante resistenze e posizioni di chiusura, da parte anche tedesca, il nostro Paese abbia dovuto scontrarsi nel tentativo di coinvolgere i partner europei nella gestione del fenomeno migratorio. Che si possa fare di più e meglio è vero. Ma altrettanto vero è che l’Italia è stata lasciata sola di fronte a un problema che dovrebbe essere affrontato in modo coordinato a livello europeo.

Sottolineati alcuni elementi del dibattito in corso, torno a richiamarmi all’irrinunciabile tema del realismo e mi chiedo a che numero di migranti da ospitare in provincia di Trento è plausibile che si possa arrivare nei prossimi anni. Ovviamente ciò dipende, in larga misura, dall’andamento dei flussi, ma – nella situazione attuale – non è forse ipotizzabile che l’Italia possa raggiungere il milione di sbarchi di qui a qualche anno, al netto dei pochi rimpatri che si riesce ad effettuare? E in tal caso, quello 0,9 % a che cifra corrisponderebbe? Parliamo di 9000 persone.

Passare dall’attuale numero massimo di 810 richiedenti asilo che la Provincia Autonoma di Trento ha accettato di accogliere sul proprio territorio a 9000, significa evidentemente moltiplicare per 10 i problemi già presenti attualmente… una situazione evidentemente insostenibile. Dove potremmo collocare queste persone, offrendo condizioni di vita almeno dignitose? Come potremmo gestire un’inevitabile conflittualità sociale, legata all’impossibilità di trovare opportunità lavorative in quantità adeguata. Pensiamo al dramma delle disoccupazione giovanile, che ha raggiunto il 27,1 % nel 2014, pensiamo a tutte le imprese che hanno dovuto interrompere l’attività, pensiamo ai tagli di cui è destinatario il bilancio provinciale. Pensiamo alla necessità di individuare alloggi che non siano – se non per un tempo breve – soluzioni di fortuna. Come possono il Trentino e l’Italia intera far fronte ad un simile afflusso di migranti. Che cosa possiamo offrire loro nell’attuale congiuntura socio-economica? Il rischio è quello di alimentare una conflittualità sociale distruttiva, di vedere i nostri giovani definitivamente estromessi dalla possibilità di rimanere in Trentino a lavorare e condannati ad emigrare, di dover operare pesantemente a livello urbanistico e, quindi, di costruire consumando territorio.

Ho decritto una situazione esagerata? Non credo, ho cercato di rappresentare il possibile approdo di una situazione che troppe volte viene affrontata con sfumature xenofobe, ma che altrettanto spesso è superficialmente sottovalutata in nome di un buonismo penoso e ipocrita, che cavalca la retorica dell’accoglienza ma non sa poi farsi carico di offrire condizioni di vita dignitose per chi viene accolto. Pieno rispetto per il richiamo della Chiesa al valore dell’accoglienza e all’esercizio della carità, ma senza dimenticare che nel 2014, in Italia, 1 milione e 470 mila famiglie (5,7 % di quelle residenti) si è trovato in condizione di povertà assoluta, per un totale di 4 milioni 102 mila persone (6,8 % della popolazione residente). Evitiamo una guerra tra poveri! Teniamo ferma la nostra richiesta all’Unione europea di una maggior condivisione delle politiche sull’immigrazione e stabiliamo quote realistiche, affinché chi è in fuga da guerre e violenze, non si ritrovi in altre situazioni di conflitto.

Claudio Cia

Esito dell'iniziativa

 

Lettera pubblicata parzialmente sul quotidiano “l’Adige” del 21 agosto 2015, dalla prima pagina.

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