Un anziano cittadino di Pergine Valsugana nel 2006 si è visto erigere in aderenza alla sua proprietà, bene tutelato dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici della P.A.T., un terrapieno ed una scala, ed ha cercato di difendere con caparbietà i propri diritti in Comune, in Provincia ed infine in Tribunale, fino in fondo. La sentenza della Suprema Corte di Cassazione in sintesi, dandogli ragione, riprende quanto disposto dalla Corte d’Appello di Trento, condannando la convenuta, previa disapplicazione dei provvedimenti amministrativi, ad arretrare il terrapieno e la scala fino al rispetto della distanza di metri 3 dall’edificio.
Il Comune di Pergine, dopo la sentenza, comunica al danneggiato a lui rivoltosi per l’applicazione della sentenza, che il titolo edilizio era una DIA “consolidatasi nel tempo e avverso al quale l’Amministrazione non può intervenire “in autotutela”.”
Chiedo quindi, se l’Organo di controllo del Comune, fin dal 2006 in presenza di DIA, ha verificato la legittimità delle opere edilizie dichiarate dal privato, perché se ciò non fosse necessario o discrezionale, ogni cittadino potrebbe sentirsi legittimato a presentare qualsiasi DIA per opere edilizie, in barba alle norme, come nel caso di specie. Per i diritti dei danneggiati rimane solo il tribunale, con spese enormi e mai concluse, per veder abbattere quanto avvallato dal Comune e condannato dalla Corte Suprema di Cassazione. L’Ente pubblico può sì incorrere in errore, ma lo strumento dell’annullamento in autotutela ha proprio lo scopo di correggere quanto erroneamente autorizzato. Errare humanum est, perseverare autem diabolicum.
Dalla raccomandata A.R. della P.A.T. – Soprintendenza per i Beni Archittetonici del 21 aprile 2008 (prot. n. 2934/2008/FP/S120), risulta inoltre che “le opere autorizzate con il provvedimento n.1130 dd. 11 dicembre 2007 erano state inequivocabilmente realizzate in un momento antecedente al rilascio dello stesso”. Parrebbe di poter dire che il tutto è avvenuto con atti amministrativi ritenuti validi, sebbene ottenuti in modo quantomeno confuso, approssimativo, per non dire in assenza del rispetto delle norme e controllo da parte delle pubbliche amministrazioni.
In questo tormentato e spinoso iter, che ha dato ragione all’anziano cittadino di Pergine Valsugana, non va dimenticato come la Provincia rischi di trovarsi in posizione di corresponsabilità, avendo rilasciato l’autorizzazione a lavori già eseguiti, in assenza della prescritta autorizzazione, invece che a priori, e perfino non a distanza dal bene architettonico tutelato (ma evidentemente non tutelato a norma di legge).
Visto che l’errore è riconducibile all’Ente pubblico, lo stesso Ente dovrebbe farsi parte attiva con ordinanza di demolizione dell’opera eseguita o attivando la revoca dell’autorizzazione “in autotutela” e non costringere l’anziano danneggiato ad ulteriori ricorsi in Tribunale, il cui esito avverrà con la tempistica propria della giustizia italiana (forse post mortem dell’avente diritto!). Voglio sottolineare che è malcostume diffuso la consuetudine di molte Amministrazioni del Trentino di tirarla per le lunghe, di sperare che il cittadino debole rinunci ai propri diritti per sfinimento o per i costi legali insostenibili, affermando infine che i titoli edilizi si sono “consolidati” nel tempo. Evidentemente si consolidano anche gli abusi edilizi, gli iter burocratici inappropriati e quindi le ingiustizie. E’ noto però che gli abusi edilizi non scadono nel tempo e non si consolidano, a meno che, ma ne dubito, non siano contemplate deroghe.
Premesso quanto sopra, si interroga il Presidente della Giunta provinciale per sapere:
- come giustifica il rilascio dell’autorizzazione da parte della Soprintendenza per i beni architettonici, a lavori già eseguiti, non a distanza di 3 metri da un bene architettonico tutelato;
- come giustifica l’assenza di controllo dei lavori elencati nella DIA del 2006, nonostante i ripetuti solleciti di intervento e chiarimento da parte del signor M. Gadler a cui, con nota del 30 gennaio 2007 (Prot. n. 200700003409/10-10-3), il Comune di Pergine aveva assicurato che la DIA, controllata dall’Ufficio tecnico, rispettava la normativa vigente.
- Chi ha materialmente controllato la regolarità della DIA?
- Come giustifica l’assenza di sospensione dei lavori in corso da parte del Comune di Pergine come organo di controllo?
- Perché il Comune oggi non emette ordinanza di demolizione come disposto dalla Suprema Corte di Cassazione?
- Perché il Comune non ricorre al suo potere “di autotutela”, disapplicando i suoi provvedimenti amministrativi (vedi sentenza)? Il potere di autotutela non ha scadenza temporale: perché non viene utilizzato dal Comune di Pergine insistendo in tal modo ad ignorare la sentenza della Suprema Corte di Cassazione e così facendo persistere nell’assenza di reale controllo del rispetto di tutte le norme edilizie?
- E’ consapevole la P.A.T. dei danni arrecati all’anziano cittadino, che potrebbe chiedere i danni materiali e morali subiti?
- Quando un privato cittadino incorre in un errore paga di tasca propria: perché questo non si applica anche ai dipendenti pubblici responsabili di atti omissivi?
- Le norme edilizie valgono per tutti o solo per alcuni?
A norma di regolamento, si chiede risposta scritta.
Cons. Claudio Cia
L’articolo sul quotidiano “Trentino” del 28 febbraio 2018: