Signor Direttore,
la politica spesso si ritrova a dibattere e a deliberare sulla famiglia producendo documenti, normative che, almeno sulla carta, si propongono di difenderla e sostenerla. Ciò che colpisce è che, mentre le viene riconosciuto di essere una “materia prima”, non viene mai definito cosa in effetti s’intende per famiglia e quando questa debba essere considerata tale: questo fa si che l’iniziativa politica di fatto sia priva di soggetto e quindi senza un destinatario certo. Un ambiguità volutamente cercata per preparare il comune sentire all’uso di detto termine e di conseguenza all’accesso alle stesse opportunità, previste dal quadro normativo, anche alle nuove e rampanti tipologie di unione che avanzano: unioni gay, ecc…
Rammarica il fatto che posizioni ideologiche e di calcolo politico impediscano di fatto di mettere nero su bianco che la famiglia esiste perché a darle volto è l’unione tra un uomo e una donna aperti alla vita. Mancano l’onestà e il coraggio di riconoscere ad essa l’unicità di un’identità che diritto naturale (principi della natura umana che si presentano come eterni e immutabili nel tempo) e storia da sempre gli riconoscono.
L’ambiguità genera confusione e questa ingiustizie. Se si vuole far crescere la conoscenza e il rispetto verso “nuove” forme e tipologie di convivenza, questo deve avvenire nella verità e non nell’ipocrisia. Ogni persona deve poter sentirsi legittimata e non giudicata nell’esteriorizzare e vivere la propria affettività: pretendere però di usare il termine “famiglia” per indicare ogni qualsivoglia forma di unione é una forzatura che impoverisce tutti, aumenta la confusione e non è certamente l’antidoto alla discriminazione.
Avendo un dizionario italiano così ricco di parole è mai possibile che, per queste unioni, non si riesca ad individuare un diverso termine che sia rispettoso, esplicativo e che non derubi la famiglia anche del nome che da sempre la identifica e la caratterizza in tutte le latitudini dell’universo.
Claudio Cia