Recentemente ho accompagnato un’anziana vedova presso l’ufficio anagrafe del Comune di Trento per rinnovare la sua carta d’identità. Tornata a casa, con grande sorpresa e molto dolore, ha visto che nel nuovo documento sullo “stato civile” era scritto “stato libero”, invece della dicitura precedente “coniugata Rossi”. Credendo in un errore siamo ritornati allo sportello per chiedere una rettifica. Ma alla signora è stato detto, con molto garbo, che non c’era alcun errore. Infatti ha scoperto che se è sposata e il marito è vivente, poteva non documentare il suo stato di coniuge e scegliere di far scrivere che il suo stato è libero mentre, essendo vedova, non ha più alcun diritto di aver riportato sulla carta d’identità il cognome del marito: “vedova Rossi”
Così non c’è più alcun documento che attesta che è la signora “Rossi”, moglie per quarantatre anni di “Mario Rossi”. Tutta la sua vita passata a fianco del marito e il suo cognome da sposata, che ha portato con orgoglio, sono stati cancellati dalla freddezza della burocrazia. Alla povera vedova è stato dunque negato il diritto di poter onorare il proprio marito e scaldare il suo cuore continuando a chiamarsi con il suo cognome. Questa è un’ingiustizia che subiscono tante donne vedove. Emerge evidente che viviamo in una cultura in cui al “per sempre” non è riconosciuto legittimità e cittadinanza, eppure la richiesta di questa vedova non è in contrasto con le normative vigenti:
- il Codice civile all’Art. 143 bis recita: “La moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze”;
- il D.P.R. 445/2000 all’articolo 35 comma 3 dispone che “Nei documenti d’identità e di riconoscimento non è necessaria l’indicazione o l’attestazione dello stato civile, salvo specifica istanza del richiedente”.
Il diniego da parte dell’ufficio anagrafe di riportare sullo “stato civile” la dicitura “vedova Rossi” è stato motivato allo scrivente in quanto trattasi dell’adempimento delle circolari n. 14/1996 e 10/1997 emanate dal Ministero dell’interno. Circolari che però sono, anche, precedenti alla promulgazione del D.P.R. 445/2000 in cui è data facoltà al richiedente di esprimersi al riguardo.
Da questa premessa la domanda giunge spontanea e per questo il sottoscritto consigliere comunale interroga il signor Sindaco per sapere:
- se non ritenga che la richiesta in premessa possa e debba su istanza del richiedente trovare adeguata risposta, documentato che è un diritto riconosciuto dalla legge, non è in contrasto con le normative vigenti, non è lesiva di diritti altrui, non dichiara il falso e per questo non è fuori luogo.
PS. ho usato il nome “Mario Rossi” per non rendere identificabile la signora che ha vissuto la vicenda.