Ricordo ancora gli anatemi indirizzati contro il Cardinale Giacomo Biffi quando, in tempi non sospetti, in un suo memorabile intervento al Seminario della Fondazione Migrantes, il 30 settembre 2000 disse che:
«gli islamici – nella stragrande maggioranza e con qualche eccezione – vengono da noi risoluti a restare estranei alla nostra “umanità”, individuale e associata, in ciò che ha di più essenziale, di più prezioso, di più “laicamente” irrinunciabile: più o meno dichiaratamente, essi vengono a noi ben decisi a rimanere sostanzialmente “diversi”, in attesa di farci diventare tutti sostanzialmente come loro».
A partire da questa realtà, per salvaguardare l’identità nazionale dei Paesi europei, prevenire scontri culturali e sociali dichiarò che, di fronte a una consistente immissione di stranieri nella nostra penisola, «in una prospettiva realistica, andrebbero preferite (a parità di condizioni, soprattutto per quel che si riferisce all’onestà delle intenzioni e al corretto comportamento) le popolazioni cattoliche o almeno cristiane, alle quali l’inserimento risulta enormemente agevolato (per esempio i latino-americani, i filippini, gli eritrei, i provenienti da molti paesi dell’Est Europa, eccetera); poi gli asiatici (come i cinesi e i coreani), che hanno dimostrato di sapersi integrare con buona facilità, pur conservando i tratti distintivi della loro cultura».
Un realismo il suo che gli ha attirato addosso le più infamanti accuse: politici, intellettuali, sindacati, perfino preti e molti altri ancora lo hanno umiliato, sbeffeggiandolo con ogni sorta di cattiveria e malignità. Nella loro “tollerante e democratica” cecaggine non volevano neanche sentirlo parlare. Lui però aveva visto lontano e oggi, a distanza di quindici anni, le sue parole si rivelano con la forza di una profezia.
Claudio Cia
La lettera sul quotidiano “l’Adige” del 22 novembre 2015: