La proposta presentata dall’Ati con a capo la Mak Costruzioni per la costruzione e gestione del nuovo polo ospedaliero a Masi di Cavalese (della partita sono anche Siram e Dolomiti Energia) rappresenta l’apice di una parabola lunga oltre vent’anni d’incapacità – o mancata volontà – di programmazione da parte della politica provinciale in materia sanitaria. Se consideriamo infatti il percorso naturale per la costruzione di un ospedale – anche nel caso della finanza di progetto – il primo passo da compiere sarebbe quello relativo all’indizione di una gara, la cui documentazione preparatoria dovrebbe consentire agli operatori privati di formulare delle offerte che tengano conto delle aspettative e degli obiettivi della politica sanitaria di un territorio. Nel caso di cui si tratta, l’impressione è invece che il pubblico abbia rinunciato alla fase di gara, ovverosia il momento in cui il suo potere negoziale è ai massimi livelli. Succede allora che – nella latitanza della politica – il privato si proponga per cogliere, interpretare e dare delle risposte alle esigenze di un territorio, cercando logicamente di trarne un beneficio economico. La cosa più triste è però la corsa alla cieca esaltazione di queste iniziative da parte di alcuni politici che, nella desolante assenza di idee e di una visione d’insieme della sanità trentina che vogliamo nei prossimi 30-40 anni (questo l’orizzonte temporale da considerare per la “vita” di un ospedale), accolgono i piani dei privati come acqua all’uscita dal deserto, ma non si accorgono che essa rischia di essere fatale se ingurgitata in grandi quantità.
Se i dati presentati in anteprima dal quotidiano “l’Adige” corrispondono alla realtà, nel progetto attualmente all’attenzione dei tecnici del NAVIP (Nucleo per la valutazione degli investimenti pubblici) si parlerebbe di un ospedale di 110.000 metri cubi con 94 posti letto, distribuiti su tre piani fuori terra, più il parcheggio, area di atterraggio dell’elicottero e strade di accesso. Il valore di questa operazione si aggirerebbe sui 120 milioni di euro, con l’Ati che si impegna a realizzare un complesso con impianti energetici, termici e infrastrutture di base e la Provincia che dovrebbe mantenere la regia ospedaliera e sostenere i costi per l’acquisto di arredi e macchinari (in parte traslocabili dall’attuale ospedale). Un costo sicuramente importante, soprattutto se si considera che lo stanziamento per il progetto di ristrutturazione dell’attuale struttura ammontava a 32 milioni di euro. E’ innegabile che l’ospedale di Cavalese, costruito nel 1955, porti sulle sue spalle tutto il peso dell’età; resta tuttavia da dimostrare il fatto che la costruzione di un nuovo edificio, totalmente slegato dai bisogni di cittadini e operatori sanitari, possa portare a benefici tangibili rispetto alla situazione di partenza. Tutto ciò, a maggior ragione, se si considera da un lato che l’attuale situazione pandemica ci ha fatto comprendere una volta di più come anche le realtà decentrate possano assumere un ruolo di filtro per gli ospedali di città e che da tempo l’ambito sanitario pare aver abbandonato la finanza di progetto.
L’esperienza assimilata attraverso le vicende legate al project financing per il Nuovo Ospedale Trentino (NOT) e altri ospedali italiani ci insegna che se sulla carta i risparmi e gli efficientamenti sono dati per certi, all’atto pratico si è costretti a ricredersi con scostamenti tra il prezzo di aggiudicazione della gara e il costo di costruzione finale che vanno dal 2% fino anche al 65 o al 75%, con l’insorgere di varianti o di opere aggiuntive che ha comportato un incremento mediano del 21% dei costi di realizzazione delle opere. In alcuni casi lo scostamento rilevante tra il progetto esecutivo iniziale e le varianti d’opera ha portato a uno scorporo di queste ultime dal contratto di concessione (come nel caso del SIOR Toscana), oppure alla risoluzione del contratto di concessione come nel caso dell’Ospedale del Mare di Napoli e la conseguente assunzione integrale del costo di realizzazione da parte dell’Asl (dati dal Rapporto annuale OASI del 2012 realizzato dal CERGAS dell’Università Bocconi). In molti casi gli aumenti, molto consistenti (si va nell’ordine delle decine di milioni di euro), sono dovuti a voci non inserite nel piano economico e finanziario, ma essenziali per garantire la funzionalità dell’investimento: allacciamenti, arredi, attrezzature ecc. Fattori questi di una certa rilevanza nel progetto del nuovo Ospedale di Cavalese e che potrebbero rappresentare una fonte esponenziale di guadagno per l’Ati e di spesa per la Provincia.
Ciò che ho appena presentato rappresenta solamente la punta dell’iceberg dei rischi derivanti dalla finanza di progetto nell’ambito sanitario, a maggior ragione se la politica si disinteressa totalmente di porre dei paletti: cosa succederà a questa operazione se agli occhi dell’operatore privato dovesse perdere di redditività? Se il privato dovesse, Dio non voglia, dichiarare fallimento? Come si regoleranno i rapporti tra pubblico e privato? Immaginiamo poi, di riuscire a costruire l’ospedale nei tempi previsti (la consegna è prevista per il 2025) e con un limitato aumento dei costi: e se ci accorgesse solamente allora che la struttura costruita non è adeguata rispetto alle priorità gestionali dell’Apss a fronte di modifiche legislative o delle caratteristiche della domanda sanitaria? Ma soprattutto, cosa succederebbe se – una volta ultimata la struttura – ci si accorgesse che essa porta agli stessi problemi di quella attuale, come ad esempio la difficoltà nell’attrarre e nel mantenere sul territorio professionisti disposti a lavorare nella realtà di valle (anche stagionalmente)? L’assistenza sanitaria per i cittadini delle Valli dell’Avisio con il Nuovo Ospedale di Cavalese sarà migliore o solamente più costosa?
Cons. Claudio Cia
Presidente del Gruppo Consiliare Fratelli d’Italia
L’articolo sul quotidiano “l’Adige” dell’11 maggio 2021:
L’articolo sul quotidiano “L’Adige” del 26.08.2021 in cui emergono le criticità espresse dai tecnici del NAVIP: