Sono rimasto molto impressionato dalla lettera del docente precario firmato D.V. apparsa su “La Voce del Trentino” in cui viene riportato il suo sfogo seguito alla sua esperienza con la CGIL del Trentino e, più in particolare, con il sig. Giorgio Nicoletti (rappresentante per il settore scolastico). Secondo quanto scritto nella lettera, che invito i cittadini trentini a leggere, emerge un modo di trattare le questioni legate ai diritti del personale docente e non docente che – se realmente verificatosi – lascia basiti. Citando testualmente:
“Contattai circa un anno fa Nicoletti e gli spiegai di questa disparità di trattamento e si rivelò in un primo momento essere favorevole alla mia richiesta ovvero rivedere le tabelle di valutazione del punteggio. L’ho ricontattato dopo un anno (…) e gli ho chiesto se sarebbe stata attuata questa revisione e mi risposto che il punteggio verrà calcolato 12/12 (quindi pensai subito che era stato fatto un buon lavoro a livello sindacale), ma poi mi specificò che questo cambiamento non è stato voluto direttamente dai sindacati trentini ma per decisione statale e cosa più sconcertante, con tono arrogante e supponente, mi ha detto che a veder suo le scuole paritarie cattoliche non possono essere paragonabili a quelle statali e che non dovrebbero proprio esistere visti gli scandali di interessi e soldi che muovono a livello centrale (Roma-Vaticano)”.
Sono concorde con il docente precario, a cui va tutta la mia solidarietà, quando afferma che “al di là del pensiero politico un sindacalista dovrebbe supportare il lavoratore e non insultarlo”.
Spesso infatti accade che, soprattutto tra i rappresentanti del sindacato il cui vessillo era e rimane quello della bandiera rossa rappresentante il comunismo, essi siano incapaci di fare dei distinguo tra quello che è il loro lavoro e quella che è la loro ideologia personale. È proprio questo distaccamento dalla realtà, ignaro in questo caso dei minori costi che caratterizzano la scuola paritaria rispetto a quella pubblica e degli ottimi risultati che la prima ottiene nei test INVALSI e nella capacità di formare persone pronte per il mondo del lavoro, che fa sì che i cittadini non si fidino più dei sindacati, rifiutando di tesserarsi. Questo è suffragato dalla composizione degli iscritti alla CGIL che vede da anni in testa la parte riguardante lo SPI (Sindacato Pensionati Italiani), con i pensionati che scelgono di tesserarsi non tanto per la capacità del sindacato di tutelare i loro diritti, ma piuttosto per i servizi offerti dai patronati che consentono loro di districarsi nella complicata burocrazia italica e che richiedono sempre – più o meno esplicitamente – l’iscrizione allo stesso. Naturalmente così facendo gli iscritti risultano meno motivati e dedicati alla causa sindacale, fatto per cui l’estremizzazione ideologica verso sinistra del sindacato rappresenta una sorta di meccanismo di sopravvivenza, che se quando governa una compagine di centro-sinistra può funzionare (nessuno infatti ricorda particolari levate di scudi da parte dei sindacati prima del 21 ottobre 2018), quando governa il centro-destra è destinato al fallimento.
L’incapacità di incidere fattivamente sulla politica da parte dei sindacati a livello locale è tanto maggiore se si considera l’alto numero di scioperi a cui assistiamo ormai tutti i giorni e la necessità che hanno i leader di queste organizzazioni di chiedere alle autorità provinciali di applicare il principio della “Sozialpartnerschaft”, ovverosia una maggiore collaborazione politica-sindacato. Quest’ultima cosa in particolare è impensabile, proprio perché i sindacati trentini sono molto deboli. È un dato di fatto assodato che la forza dei sindacati non può essere giudicata in base al numero di scioperi che essi riescono ad organizzare. Essa consiste talvolta nel saper impedire il ricorso a tali metodi di lotta, soprattutto perché essi comportano un costo a carico dei lavoratori e il sindacato dovrebbe essere in grado, da un lato di saper imporre qualcosa, dall’altro anche di essere autorevole nei confronti dei propri iscritti per fermare lo sciopero, perché quello che si raggiungerebbe con lo sciopero sarebbe sproporzionato rispetto a quello che lo sciopero costa.
Tutto ciò per dire che – se da un lato l’approccio ideologico può essere “giustificato” dalla necessità di sopravvivere in un periodo di particolare debolezza delle sigle sindacali – dall’altro esso non dovrebbe condurre ad eccessi che finiscono per insultare i propri iscritti, che quindi – e giustamente – finiranno per diventare “ex” con un ulteriore indebolimento del sindacato.
Cons. Claudio Cia – Fratelli d’Italia