Mi permetto di entrare nel dibattito che ho visto condotto da collega Berlanda e dal collega Cristofolini su punti nascita e protonterapia. Lo faccio da cittadino, da psichiatra legato a modelli organizzativi di rete, da aderente a Civica Trentina, una forza politica non partitica alternativa all’attuale governo provinciale.
I due argomenti, protonterapia e punti nascita hanno in comune l’essere organismi dell’Azienda Sanitaria, l’essere organizzazioni molto complesse, l’essere collocate in un modello di funzionamento di collegamenti e di rete. Il peccato originale della protonterapia risiede in un’epoca in cui le risorse sanitarie e della nostra provincia apparivano illimitate e in cui una classe politica con un certo grado di miopia aveva, tutta intera, votato in Consiglio provincciale, la nascita della protonterapia, una struttura utile che però avrebbe dovuto avere un respiro nazionale o almeno sovraregionale.
Il peccato originale che riguarda le nascite è stato negli anni una eccessiva medicalizzazione del parto che da condizione fisiologica ha assunto sempre più connotati “patologici” o presunti tali per cui l’ospedale si rendeva sempre più necessario. Tuttavia ricordo che in tempi non lontani non era cosi, mia sorella, che ha 60 anni, è nata in casa mentre io che di anni ne ho 55 a pelo mi hanno fatto nascere in ospedale. Entrambe le condizioni quindi si collocano in processi che non hanno solo una dimensione attuale ma hanno una dimensione storica dentro la quale mutano le economie, la cultura, le società. Anche il modello di rete che è importante nelle attivitàe nei processi che ne derivano non può quindi prescindere da una dimensione storica nell’ambito delle quali i progetti divengono processi sempre meno governabili perché cambiano i tempi , le priorità, le culture, i bisogni.
Quello che a mio avviso si sta verificando è l’ingovernabilità di questi processi, sia per quanto riguarda i punti nascita che per quanto riguarda la protonterapia. Nel primo caso ad es. agli annunci di Borgonovo Re di tagliare i punti nascita emergono nella stessa maggioranza messaggi di polarità contraria ma quello che più manca è la focalizzazione sulla necessità di creare soprattutto sui territori periferici strutture non ospedaliere per i parti fisiologici e che garantiscano alla donna in caso di necessità l’immediato trasporto in ospedale. In mancanza di una articolata proposta territoriale è evidente che le persone continueranno a pensare che i loro bisogni siano inscindibili dalla vicinanza all’ospedale. Ma questo è un problema di organizzazione e di competenze gestionali.
Nel caso della protonterapia ciò che è mancato è stata soprattutto una governance della messa in opera della protonterapia tanto che sono incredibilmente mancati i raccordi tra l’Agenzia per la Protonterapia e l’Azienda Sanitaria nella fase di passaggio, nonché un piano per la formazione del personale e l’implementazione di scambi scientifici internazionali che garantiscono che una organizzazione così complessa come la protonterapia possa funzionare. Borgonovo Re ha dichiarato che in mancanza del LEA (livelli essenziali di assistenza) la struttura non può partire. Ma, come ha scritto Rodolfo Borga in una interrogazione provinciale, la nostra provincia ha la possibilità di emettere sia il provvedimento di autorizzazione al funzionamento sia prestazioni aggiuntive provinciali (LEA provinciali) che potrebbero rendere gratuita la metodica almeno ai nostri concittadini.
Quindi perche non partire?
A questo punto non vi sono giustificazioni per continuare a pagare un milione al mese di costi per una struttura che non vede un paziente, a meno che non manchino le competenze organizzative e tecniche e allora è un altro problema!!