Il recente dibattito sui punti nascita del Trentino, reso pubblico dai media, ha rivelato che l’Assessore Borgonovo Re, basandosi su direttive nazionali e internazionali, ha affermato che devono esser chiusi tutti quelli in cui i nati nell’anno risultano numericamente inferiori a cinquecento per il semplice fatto che solo con certi numeri è possibile una formazione continua del personale e quindi un parto sicuro per la mamma e il bambino.
Il presidente Rossi, l’assessore Gilmozzi, l’ex sindaco di Cavalese (oggi pure lui assessore) e altri della giunta provinciale affermano invece che non bisogna dar retta ai numeri e che le linee guida nazionali e internazionali esistono ma da noi non sono applicabili perché non tengono conto degli aspetti orografici (p.e. montagne) e climatici del nostro territorio.
Trattandosi di direttive aventi valenza scientifica a livello mondiale, sinceramente non capisco perché nel Trentino, zona montagnosa che mi pare non essere l’unica del globo, questi elaborati perdano di autorevolezza. Se quanto affermato dall’Assessore alla sanità è vero, e non ho motivo di dubitarne, tutti gli altri dovrebbero prenderne atto, adeguarsi e decidere di conseguenza. A cosa servono altrimenti ricerche scientifiche, linee guida e competenze?
Forse se le mamme prima di partorire nelle sedi periferiche fossero correttamente informate e venisse chiesto loro di assumersi la totale responsabilità di eventuali problemi per sé e il bambino, dovute al possibile scarso addestramento del personale medico e non, il problema si risolverebbe da solo. Mi risulta che in medicina, oltre alla preparazione di base, all’ impegno personale e a fare il “bravo”, sono i numeri i a fare la differenza: quanto più alti sono i casi in un anno, tanto più il personale è capace e l’organizzazione efficiente. Esattamente quello che diceva l’assessore Borgonovo Re, o vogliamo dire che la qualità della risposta sanitaria in periferia va bene qualunque essa sia?
Se la politica vuole mantenere lo status quo dei punti nascita, lo può fare ma deve farlo con la consapevolezza di dover pure garantire cospicue risorse per iniziative concrete capaci di annullare il divario formativo e organizzativo degli operatori delle unità di ostetricia della periferia, rispetto a quelli che esercitano in strutture di maggior afflusso, e non mi pare che in questi anni la politica Provinciale si sia mossa in questa direzione, anzi le strutture ospedaliere di periferia sono state sempre più impoverite di risorse e svuotate di professionisti.
Su questi temi non si può essere sempre in campagna elettorale!