Nei giorni scorsi la Camera dei Deputati ha approvato – in seconda lettura – una proposta di legge costituzionale di modifica degli articoli 9 e 41: l’ambiente e la sua tutela sono entrati formalmente in Costituzione. Una riforma passata con 468 voti a favore, 1 contrario e 6 astenuti: in pratica un plebiscito, che consentirà di evitare l’ipotesi di sottoporre la legge a un referendum consultivo. L’iter approvativo della legge, in piena pandemia, si è concluso in meno di 8 mesi. A dimostrazione, che quando vi è l’intenzione, non esistono lungaggini romane che tengano.
Sin dagli anni ‘80 la Corte Costituzionale ha difeso (tramite il combinato disposto degli articoli 9 e 32 della Costituzione) una concezione antropocentrica dell’ambiente, ovverosia legata al diritto alla salute dell’uomo. La riforma costituzionale, facendo seguito al cambiamento di paradigma avvenuto negli ultimi anni riguardo alle tematiche verdi, ha introdotto un’idea oggettivistica dell’ambiente: un bene da proteggere in quanto tale e non perché strumento dell’uomo.
Una rivoluzione, questa, che investe anche l’iniziativa economica privata, d’ora in avanti sottoposta al vincolo di non creare danno alla salute e all’ecosistema. Per chi crede siano solo belle parole, basti pensare alle implicazioni concrete dei nuovi articoli della Costituzione nei confronti delle ricadute sulla normativa sulla caccia, sugli allevamenti da carne, sul riconoscimento dello status di rifugiato per chi scappa da zone del mondo colpite dalla crisi climatica e perfino sulla gestione di grandi carnivori e cinghiali.
Sono rimasto infatti profondamente sorpreso dal fatto che, nell’enorme plebiscito per questa legge (che nella versione approvata rimane comunque migliore di quella elaborata precedentemente), si sia sollevata solamente una voce contraria, quella dell’Onorevole Maria Cristina Caretta di Fratelli d’Italia. Eppure, come riportato sopra, i motivi per discutere ci sarebbero anche stati. Un mondo, quello rurale, tenacemente legato all’agricoltura, all’allevamento, alla pesca e alla caccia (nonché al grande indotto che questi settori generano sul territorio), che se da un lato può dirsi contento del riconoscimento dell’importanza dell’Ambiente a livello costituzionale, dall’altra rischia di vedere fortemente intaccata la propria iniziativa e il proseguire di quelle tradizioni che – in moltissimi casi – sono la leva fondamentale che consente ai nostri paesini nelle valli di sopravvivere. Come possiamo pensare noi, con la nostra millenaria storia di usi civici (e quindi fortemente antropocentrica), che le associazioni animaliste comprendano quando chiediamo di poter abbattere i cinghiali per evitare che essi devastino intere zone del Trentino? Come faremo a portare avanti la richiesta di maggiori competenze nell’ambito della gestione dei grandi carnivori per evitare che le continue predazioni ai danni degli allevamenti e i sempre più frequenti avvicinamenti alle abitazioni da parte di esemplari confidenti portino a un ulteriore spopolamento dei nostri piccoli centri di montagna, quando la Costituzione stessa ci dice che è la legge dello Stato a disciplinare i modi e le forme di tutela degli animali?
Se vogliamo scovare un qualcosa di positivo in questo “cambiamento epocale” (come è stato definito dal Ministro Cingolani), è questo: la riforma costituzionale, molto intelligentemente (per chi ci crede), ha fissato su carta i più recenti orientamenti della giurisprudenza e della dottrina, i quali sono invece sempre suscettibili di modifica e quindi incapaci di vincolare l’ordinamento. Se la nostra Autonomia seguisse quest’esempio, si potrebbe avviare una riforma dello Statuto, evitando che le nostre competenze siano continuamente ampliate oppure – come avviene più sovente – erose in base all’umore giornaliero dei giudici della Corte Costituzionale. Tale iniziativa, se intrapresa con coraggio dalla Regione Trentino – Alto Adige, permetterebbe di rafforzare il nostro diritto all’autogoverno, fissando chiaramente e indelebilmente i principi fondanti dell’autogestione, così da permettere alla politica regionale di attuarli con animo aperto e sincero nei confronti dello Stato.
Cons. Claudio Cia – Presidente del Gruppo Consiliare di Fratelli d’Italia