Rossi bacchettato, colto sul fatto, non supera l’esame davanti alla Corte dei Conti. Ci ha provato, ma questa volta la provvidenza non l’ha assistito e i giudici hanno reso pubblico un malcostume nella gestione della cosa pubblica che da molti anni più voci vanno denunciando. In Trentino, più che di amministratori pare piuttosto di essere in balìa di despoti – non a caso Lorenzo Dellai era definito il Principe Vescovo – despoti inflessibili nell’applicare le leggi quando a doverle rispettare sono i cittadini, lascivi invece quando sono un ostacolo ai loro interessi e a quelli dei loro vassalli.
Ci eravamo ormai rassegnati a una simile prassi perché la maggioranza di osservatori aveva volontariamente scelto di non far parola di un fatto ovvio a tutti, fingendo di non vederlo. Ora però con autorevolezza qualcuno ha avuto il coraggio e la forza di gridare che “il re è nudo”, e così l’antico incantesimo è stato spezzato. C’è chi balbetta sorpreso, chi si straccia le vesti, chi invece corre ai ripari perché colto in fallo. Come un adolescente Rossi, che prova invano a giustificare la deleteria amministrazione della cosa pubblica. Le palesi omissioni, i gravi abusi e i pericolosi giochi di prestigio per nascondere la reale situazione finanziaria della PAT, questa volta non passeranno inosservati: esiste un colpevole le cui azioni costituiscono uno sfregio indelebile all’autonomia che tanto decantiamo.
Rossi non ha scuse, non è un politico caduto con l’ultima pioggia. Quanto rilevato dalla Corte dei Conti è riconducibile ad un sistema di potere e di occultamento di evidenze pianificato e costruito ad arte già nella trascorsa “era Dellai”, nella quale anche Rossi era un protagonista con un ruolo stabilito: pertanto non è avventato supporre che il suo ambiente di lavoro lo abbia portato a conoscere determinate realtà. Il mio auspicio più grande è che la deliberazione della Corte sia solo l’inizio di un processo più ampio, che finalmente contribuisca a far luce su ampie zone d’ombra, di cui nemmeno il governo Dellai può davvero reputarsi esente.
Claudio Cia
La mia lettera sul quotidiano “Trentino” del 3 gennaio 2016:
L’articolo sul quotidiano “l’Adige” del 28 dicembre 2015: