Signor Direttore, quando si pensa ad un ambulatorio ognuno di noi si immagina un luogo facilmente accessibile con ambienti e spazi accoglienti e strutturati in modo tale da garantire la privacy di chi, in un rapporto di estrema fiducia, rivolgendosi al medico curante confida problemi e bisogni di carattere sanitario e non, sintomi, paure e speranze. Nel quartiere di San Donà un ambulatorio con tali caratteristiche non esiste e a testimoniarlo sono le decine e decine di persone che ogni giorno, per recarsi dal medico, devono superare barriere architettoniche (scale), attendere il proprio turno pigiati dentro una “sala d’aspetto” di neppure 2 m2; tant’è vero che per molti l’attesa risulta possibile solo all’aria aperta, all’addiaccio d’inverno e al caldo torrido d’estate. Quando poi finalmente giunge il momento di rapportarsi con il medico, la sensazione è quella di entrare in un buco d’ambulatorio, costruito con sottili pareti di cartongesso che non consentono di vedere chi sta all’interno ma in cambio permettono di sentire ogni parola pronunciata. Il dialogo tra medico e paziente viene così messo a dura prova, diventa problematico e imbarazzante. Entrambi non si sentono liberi di parlare perché consapevoli di essere facilmente ascoltati. Assicurare lo sbarrieramento degli ambulatori per garantirne l’accesso ad ogni persona, garantire spazi adeguati a chi sosta in attesa e al medico che visita, tutelare la privacy di chi fruisce del servizio sanitario pubblico è un dovere di legge. E allora perché a San Donà non è rispettato?