All’epoca in cui la tariffa rifiuti si chiamava Tia (Tariffa di igiene ambientale), in bolletta veniva addebitata l’Iva ma, come contestato da anni, la Tia era una vera e propria tassa, e quindi l’Iva richiesta era considerabile come una “tassa sulla tassa”. I contenziosi sono stati limitati, probabilmente per paura delle pratiche burocratiche, tutti però conclusi con il giudice che ha dato ragione ai cittadini e ordinato il rimborso.
Secondo l’interpretazione dell’Agenzia delle entrate, espressa nelle R.M. n. 25/E del 5 febbraio 2003 e R.M. n. 250/E del 17 giugno 2008, la natura della TIA non è di carattere tributario, ma civilistico, in quanto si configura come un corrispettivo per il servizio di raccolta di rifiuti urbani, effettuato entro i confini della normativa di diritto civile. Pertanto, rivestendo la natura di servizio, l’Agenzia delle entrate ha ravvisato anche l’assoggettabilità all’IVA.
Questa interpretazione non è stata però condivisa da parte della dottrina e della giurisprudenza (Sentenza n. 17526/2007 della Corte di cassazione), che ne hanno ravvisato la natura tributaria e la conseguente esclusione dal campo di applicazione dell’IVA. La Corte costituzionale, con la sentenza 238 del 24 luglio 2009, ha ulteriormente riconosciuto la natura tributaria della TIA. Ma la manovra correttiva dell’estate 2010 (D.L. 31 maggio 2010, n. 78) ha tentato di chiudere definitivamente la discussione con un atto di interpretazione: la natura della tariffa prevista dal D.Lgs. n. 152/2006 non è di natura tributaria, e pertanto è assoggettabile a IVA.
Ma con sentenza n. 3756 del 9 marzo 2012, la Corte di cassazione ha nuovamente modificato l’interpretazione sulla natura giuridica della TIA, stabilendo che “Gli importi richiesti a titolo di tariffa d’igiene ambientale non sono suscettibili di essere assoggettati ad IVA“.
Ne consegue pertanto un quadro giuridico notevolmente confuso, nel quale ciascun Comune si comporta diversamente in merito all’applicazione dell’IVA, che ha determinato anche appelli ai propri iscritti delle associazioni dei consumatori, al fine di promuovere class action nei confronti delle amministrazioni comunali, per il recupero dell’IVA indebitamente versata.
Dal 2013 in Trentino si è passati alla “tariffa puntuale”, e la tesi di Dolomiti Energia e Dolomiti Ambiente è che trattandosi di una tariffa, cioè il corrispettivo per un servizio, l’Iva non solo sarebbe legittima, ma anche dovuta: la “tariffa puntuale” sarebbe già in grado di determinare l’esatta corrispondenza tra l’effettiva utilizzazione del servizio e l’importo richiesto, e quindi nessuna rivendicazione degli utenti sarebbe legittima.
Ma non basta il nome per definire una “tariffa”, che al momento di “puntuale” ha poco, essendo pagata sulla base di criteri presuntivi. Essa è infatti determinata da parametri astratti quali la superficie dell’immobile e il numero dei componenti del nucleo familiare, mentre le cosiddette “misurazioni” del residuo, tramite il numero distribuito di sacchetti o tramite l’uso di microchip, si basano su un principio meramente forfettario. La tariffa di igiene ambientale (TIA1, TIA2, TARSU, TARES, TARI…), comunque la si voglia chiamare, rimane una tassa, come sancito dalle sentenze sopra riportate.
Ora si è conclusa un’altra causa contro Dolomiti Ambiente e Dolomiti Energia, per l’Iva non dovuta sulla tariffa rifiuti, con il Giudice di pace di Rovereto che ha preso in considerazione anche gli anni successivi al 2013, sancendo ancora una volta che l’Iva non è dovuta, e imponendo il risarcimento di una cifra variabile tra i 100 e i 200 euro a persona, a cui si aggiungono le spese legali.
Il giudice accerta che «Non risulta in atti alcuna documentazione che attesti l’esistenza e l’effettivo utilizzo di sistemi di misurazione e pesatura dei rifiuti prodotti da ciascun utente, la cui attuale inesistenza può ritenersi dimostrata sulla base delle fatture prodotte in giudizio, che presentano importi pressoché identici a partire dal 2005 e sino al 2015». Questi i presupposti in base ai quali il giudice ha condannato Dolomiti energia e Dolomiti Ambiente a restituire le somme versate da cinque trentini a titolo di Iva in questi anni.
Ora, pur nella consapevolezza che la Giunta Provinciale non può intervenire nei rapporti tributari in materia di Iva intercorrenti tra l’Amministrazione Finanziaria dello Stato ed i soggetti che in qualità di sostituti d’imposta riscuotono l’Iva e la riversano all’Agenzia delle Entrate, anche alla luce dei più recenti pronunciamenti,
si interroga il Presidente della Giunta provinciale per sapere:
- se la Giunta provinciale non ritenga di sollecitare il Governo nazionale affinché siano finalmente emanate delle direttive ufficiali chiarificatrici da parte del competente Ministero, in merito all’applicazione dell’Iva sulle tariffe rifiuti e agli obblighi degli enti fornitori di tali servizi.
- Considerato che il giudice di pace di Rovereto ha constatato come non risulti l’effettivo utilizzo di sistemi di misurazione e pesatura dei rifiuti prodotti da ciascun utente, quali sono gli Enti locali che sul territorio provinciale non sono ancora organizzati per la misurazione delle quantità di rifiuti effettivamente conferiti dalle singole utenze, applicando un sistema presuntivo, e quali sono invece gli Enti locali in grado di attribuire la parte variabile della tariffa sulla base di misurazioni dirette del rifiuto conferito.
- Quante sono le utenze attualmente associate ad Enti fornitori del servizio di raccolta rifiuti, suddivise per Ente.
- Se sono note, ed eventualmente a quanto ammontano, le spese relative alla raccolta di rifiuti abbandonati sul territorio provinciale e quelle relative a sanzioni per smaltimento irregolare dei rifiuti urbani.
A norma di regolamento, si chiede risposta scritta.
Cons. Claudio Cia
Gentile Consigliere,
mi rivolgo a Lei poichè sono uno dei tanti interessati ai “famosi rimborsi” in seguito alla Sentenza della Corte Costituzionale n.335 dell’8.10.2008, essendo proprietario di una casa vacanza nella località di Celledizzo di Peio. Su tale questione ho scritto anche interventi sulla stampa locale esprimendo forti, e ritengo fondate, perplessità su come è stata gestita la pratica dei rimborsi nel rispetto della Sentenza e delle successive disposizioni di legge.
Entrando nello specifico, e premesso che con la Sentenza n. 335 dell’8.10.2008 (pubblicata sulla G. U. del 15.10.2008) la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art.14, comma 1 della Lg n. 36 del 5.1.1994 e dell’art. 155, comma 1 del Dl n. 152 del 3.4.2006, in virtù del fatto che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è il “corrispettivo di un servizio pubblico” e che la Sentenza di incostituzionalità delle norme citate riguarda anche le situazioni pregresse, mi preme evidenziare che : – il comma 2 dell’art. 8-sexies della Lg n.13 del 27.2.2009 disciplina le modalità di restituzione, a partire dal 1.10.2009, della quota di tariffa non dovuta e stabilisce che i gestori del servizio idrico integrato possono provvedere alla restituzione anche in forma rateizzata entro il termine massimo di 5 anni; – in base al citato comma 2, l’individuazione dell’importo da restituire è demandata alle rispettive autorità d’ambito, oppure agli enti locali gestori dei servizi di acquedotto, fognatura e depurazione, che vi dovranno provvedere entro 120 giorni dall’entrata in vigore della citata Lg n.13.
Pertanto:
– in base al comma 2 dell’art. 8-sexies della Lg n.13 del 2009, i gestori del servizio idrico integrato avrebbero dovuto provvedere alla restituzione della quota di tariffa non dovuta, relativa al servizio di depurazione, anche in forma rateizzata, entro il termine massimo di 5 anni, a partire dal 1.10.2009 (cioè entro il 30.09.2014), cosa che non mi risulta sia avvenuta;
– in base al citato comma 2, l’individuazione dell’importo da restituire sarebbe stato compito delle rispettive autorità d’ambito, oppure degli enti locali gestori dei servizi di acquedotto, fognatura e depurazione, che avrebbero dovuto provvedere entro 120 giorni dall’entrata in vigore della citata Legge n.13 (cioè entro il 26.6.2009), cosa che non mi risulta sia avvenuta; mi sembra vi siano state delle inadempienze quantomeno per quanto riguarda la tempistica relativa alla restituzione della quota di tariffa non dovuta.
In aggiunta, mi preme sottolineare che in base all’art. 2946 del Codice Civile, sulla ” Prescrizione ordinaria”, i diritti si estinguono per prescrizione dopo dieci anni. Pertanto, poiché la sentenza n. 335 della Corte Costituzionale è stata pubblicata in G.U. il 15.10.2008, il diritto al rimborso decade il 14.10.2018 e allo scopo si richiama la delibera n. 25 del 10.2.2009 della Corte dei Conti (Sezione Regionale di controllo per la Lombardia) – peraltro richiamata nella delibera n. 2324 della PAT del 26.10.2012 – in base alla quale l’arco temporale oggetto del rimborso di pagamenti effettuati, ma non dovuti, decorre da 5 anni prima della sentenza, a 10 anni dopo la sentenza.
Sulla base delle norme citate, non si capisce inoltre la ratio in base alla quale sia stata fissata al 25.10.2017 la scadenza della presentazione della domanda di rimborso, data che pertanto appare arbitraria.
Nel ringraziarLo per l’attenzione che vorrà concedermi, Lo saluto cordialmente.
G.P.